Si spengono le luci in sala, si apre il sipario. Su un palcoscenico depurato da scenografie e costumi (appesi come quinte teatrali) assistiamo a quella che parrebbe una prova generale. Gli attori computamente seduti, aspettano il loro turno. Il regista da dietro un tavolo aspetta di dare il la all’azione, mentre l’assistente-suggeritore segna l’inizio della recita.
Senza soluzione di continuità gli interpreti lasciano a poco a poco il passo ai personaggi; il Marchese diforlipopoli e il Conte d’Albafiorita si contendono le attenzioni e le grazie della bella Mirandolina, la locandiera che li ospita. Ad osservare i bisticci amorosi con cinico e compassato distacco, c’e’ il Cavaliere Diripafratta che tesse le lodi del suo misoginismo, elevandolo a filosofia di vita.
Ma la bella e impudente Mirandolina, abbandonati a loro stessi i due spasimanti, punta il cavaliere. Più per ripicca e sfida, che per convinzione.
locandiera-01Da qui ecco nascere una serie di situazioni che mettono in scena l’eterno conflitto tra uomo e donna, le schermaglie amorose, le ingenuità dei primi e le acutezze delle seconde, gli sguardi opachi dell’uno con la lucida progettualità dell’altra, ribaltando luoghi comuni e falsi miti.

Una rimessa in scena di Goldoni che punta fortissimamente sul testo scenico, sul significato vero e non presunto delle parole e sul peso dei loro significati, come sottolinea il regista e protagonista Jurij Ferrini: “Ho usato una commedia per far ridere. E siccome si tratta di una commedia straordinaria essa risulta straordinariamente comica. Ho messo al centro le parole, perche’ sono loro a definire i personaggi. Il resto viene da se’ ed è spassoso. Chi accusa questo spettacolo di essere irriverente verso la tradizione della prosa del dopoguerra… Beh… Ha perfettamente ragione”.
Ma è lo spettacolo a dare ragione alle scelte stilistiche del regista. Ha reso moderna una commedia scritta nel 1751 senza stravolgimenti, ma mettendo semplicemente al centro dell’azione il testo, depauperando scene e costumi che avrebbero sviato l’attenzione dello spettatore.

In “Ragionevoli dubbi” di Gianrico Carofiglio c’è un momento in cui il protagonista, l’avvocato Guerrieri entra in una libreria aperta di notte mentre il proprietario sta leggendo il piccolo volume “La manomissione delle parole” (stesso titolo utilizzato dall’autore per il saggio sulla scrittura uscito di recente edito Rizzoli). Manomissione che ha un duplice significato: alterazione, violazione, danneggiamento ma anche liberazione, riscatto, emancipazione (nel diritto romano la manomissione era la cerimonia in cui lo schiavo veniva liberato). Carofiglio spiega come le parole siano spesso prive di significato: con l’utilizzo a sproposito le abbiamo consumate, estenuate, svuotate. Per raccontare è necessario rigenerarle, restituire loro senso, consistenza, suono, odore. Per fare questo dobbiamo farle a pezzi e ricostruirle.

E’ quanto ha fatto Jurij Ferrini per la sua “Locandiera”. Il risultato è irresistibile, godibilissimo dall’inizio alla fine. Grazie anche ad una compagnia in grado di giocare sul palco con una recitazione a volte sopra le righe, ma mai oltre. Bene, bravi, bis. Da non perdere.

TitoloLa locandiera
AutoreCarlo Goldoni
RegiaJurij Ferrini
InterpretiJurij Ferrini, Andrea Cappadona, Angelo Tronca, Ilenia Maccarrone, Caludia Salvatore, Wilma Sciutto, Matteo Ali, Massimo Boncompagni
ProduzioneProgetto U.R.T.
Anno2010
GenereCommedia
Applausi del pubblicoScroscianti
In scena fino al 17 Aprile al Teatro Vittoria di Roma