Un telo di velluto rosso copre il palcoscenico ed invade la scena a sipario aperto. Ed è proprio il colore ROSSO, la cifra stilistica che caratterizza la messa in scena che Gabriele Lavia realizza, dopo Brecht e Pirandello, per il dramma psicologico Il padre di August Strindberg.
Rosso, colore del sangue, dei muscoli e del cuore. Rosso come aggressività, voglia di primeggiare, ma anche come passione e fiducia in noi stessi. Rosso come eccitazione, fierezza ed orgoglio. Tutti elementi, sentimenti ed emozioni che caratterizzano il Capitano di cavalleria Adolf quando si viene a scontrare con la moglie Laura in merito all’educazione della figlia Berta. La consorte non esiterà ad instillare nell’animo del marito un dubbio atroce: la sua stessa paternità. Un’insinuazione appena accennata, buttata lì a mo’ di sfida, che col tempo cresce, prende una forma più consistente, una costituzione assai robusta che va a demolire le certezze granitiche di Adolf. Il dubbio monta in lui, crea metastasi fisiche e psicologiche che iniziano a corroderlo fino a portarlo ad una irrimediabile pazzia.
«Scritto con un’ascia, non con la penna» da Strindberg nel 1887, il dramma presenta il rapporto di coppia come un eterno conflitto in cui marito e moglie si rivelano estranei, rivali, infine nemici. La forza dell’uomo opposta all’astuzia della donna che ribalta la situazione inizialmente di svantaggio facendo perno proprio su ciò che ci appare così forte ma al contempo fragile. Sì perché, almeno una volta era così: se la madre è certa chi può dire con certezza di chi sia il seme che genera l’uomo? Dubbio coltivato dagli autori classici ed ancor prima dalla Bibbia con il profeta Ezechiele.
«L’intreccio del Padre – spiega Gabriele Lavia – è semplicissimo. Un marito sospetta che la moglie lo abbia tradito e che la figlia sia figlia di un altro. Marito, moglie, figlia e … L’altro. Un intreccio, diciamolo pure, banale, che nelle mani di Strindberg diventa un ‘abisso’. O, meglio, il precipitare nell’abisso della perdita di ogni ‘certezza ontologica’ dello statuto virile della paternità e l’avvento della condizione di ‘incertezza dell’essere dell’uomo che, dunque, deve fare i conti con la cultura, la storia e addirittura, poiché Strindberg scrive una tragedia classica, con il mito».
La stessa scenografia, meravigliosamente allestita da Alessandro Camera, contribuisce a rendere visivo il conflitto interiore del protagonista. Tavoli e sedie sbilenchi, poltrone e divani fuori squadra, pendoli e scrivanie fuori sesto rispecchiano le certezze granitiche del protagonista in fragilissimo disequilibrio, mentre le luci espressioniste di Michelangelo Vitullo che tagliano il palcoscenico in diagonale, mentre dall’alto luci a pioggia schiacciano i protagonisti alle loro umane responsabilità, creano un senso di tragica ineluttabilità che carica l’opera di un pathos insostenibile.
Gabriele Lavia nel ruolo del protagonista è mostruoso nel dosare una recitazione passionale e sfaccettata che ben si confronta/scontra con il ricercato distacco che caratterizza l’algida moglie Laura, interpretata dalla convincente e brava Laura Di Martino. E quando nel secondo atto la scena si fa surreale, con il velluto rosso a coprire l’intera ambientazione ed il racconto si interiorizza nella coscienza di Adolf, ecco che i personaggi di contorno – apparsi come ombre nella prima parte dello spettacolo – prendono corpo (menzione speciale per Giusi Merli nei panni della Tata) e spessore, illuminando uno spettacolo che non può lasciare indifferenti.
Titolo | Il padre |
Autore | August Strindberg |
Regia | Gabriele Lavia |
Musiche | Giordano Corapi |
Scene | Alessandro Camera |
Costumi | Andrea Viotti |
Luci | Michelangelo Vitullo |
Interpreti | Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Giusi Merli, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Anna Chiara Colombo, Ghennadi Gidari, Luca Pedron |
Durata | 140' |
Produzione | Fondazione Teatro della Toscana |
Anno | 2017 |
Genere | Drammatico |
Applausi del pubblico | Scroscianti |
In scena | fino al 4 febbraio 2018 al Teatro Quirino di Roma; Bologna, Arena del Sole 8 – 11/2; Milano, Teatro dell’Elfo 15 – 25/2; Torino, Teatro Carignano 27/2 – 11/3; Genova, Teatro della Corte 13 – 18/3; Udine, Teatro Nuovo 21 – 23/3 |
Nessun commento