Inverno 1327: il giovane novizio Adso da Melk e il maestro Guglielmo da Baskerville sono attesi in abbazia per una disputa tra Papato e francescani circa la povertà di Cristo, ma una nube oscura e demoniaca si è impadronita di quel santo luogo. L’abbazia è rinomata per l’immensa biblioteca e l’ottimo lavoro del suo scriptorium, ma proprio attorno ad un libro sembrano ruotare le misteriose morti che si stanno susseguendo sul modello delle sette trombe dell’Apocalisse. Famoso per il suo acume e la buona applicazione del metodo deduttivo, sarà frate Guglielmo ad occuparsi delle indagini…
Se c’è una cosa che caratterizza il primo romanzo di Umberto Eco è la complessità, data dalla sovrapposizione di infiniti piani di lettura diversi e dall’immenso bacino culturale su cui si regge l’intera opera. L’adattamento di Stefano Massini (“Lehman Trilogy”) non cerca di aggirare l’ostacolo limitandosi alla trasposizione su scena della sola componente “gialla”, ma al contrario usa quest’ultima per far emergere in piena luce quel Medioevo tanto contraddittorio e così caro ad Eco dove ironia, vanità, superbia, logica e vita si intrecciano secondo tutte le varietà dell’essere umano.
Seguendo la rigida scansione dei capitoli del romanzo e quella della vita dei monaci, il regista Leo Muscato scandisce la vicenda per quadri separati, senza condannare lo spettacolo alla rigidità, anzi: il saggio utilizzo delle proiezioni video di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attili e delle musiche di Daniele D’Angelo, oltre che i cambi di scena fluidi, rendono lo spettacolo un flusso continuo in cui abbandonarsi ai ricordi del vecchio Adso. Attraverso gli occhi spaesati del giovane novizio, ora con la logica tagliente di Guglielmo, lo spettatore è chiamato ad assistere al tramonto di un medioevo irrigidito, feroce e pronto ad uccidere per conservarsi uguale a se stesso davanti alla modernità che avanza, allo scontro inevitabile tra chi impedisce che i libri vengano letti per preservarne intatto il sapere e chi celebra la libertà e l’intelletto umano contro ogni eccesso.
Il meccanismo scenico è ben congegnato e riesce a dare freschezza inedita al testo di Eco, mentre gli interpreti sono tutti all’altezza del compito. Luca Lazzareschi è un Guglielmo da Baskerville ironico, vivace, acuto, magari meno carismatico di quello di Sean Connery, ma per questo più interessante nella nuova veste di uomo fragile; Luigi Diberti e Giovanni Anzaldo si divido le due vite di Adso, protagonista morale della vicenda: il primo incanta le orecchie e il cuore come un cantore di omerica origine, il secondo è appassionato, impulsivo e perfetto specchio di un Guglielmo- Lazzareschi a cui riesce sempre a tenere testa. Eugenio Allegri si sdoppia sui due eccessi del Medioevo, il misticismo visionario e pseudo-eretico di Ubertino da Casale e la furia cieca dell’Inquisizione domenicana di Bernardo Gui, mentre Alfonso Postiglione è un perfetto Salvatore, bestiale e clownesco. E poi Bob Marchese, Marco Zannoni, Franco Ravera, Marco Gobetti, Giulio Baraldi, Daniele Marmi, Mauro Parrinello e Arianna Primavera. È il caso di dirlo: “Tutti bravi”.
Titolo | Il nome della rosa |
Autore | Umberto Eco |
Adattamento | Stefano Massini |
Regia | Leo Muscato |
Musiche | Daniele D'Angelo |
Scene | Margherita Palli |
Costumi | Silvia Aymonio |
Luci | Alessandro Verazzi |
Interpreti | Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Renato Carpentieri, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera, Marco Zannoni |
Durata | 150' |
Produzione | Teatro Stabile di Genova; Teatro Stabile di Torino; Teatro Stabile del Veneto |
Anno | 2017 |
Applausi del pubblico | Fragorosi |
In scena | fino al 4 febbraio al Teatro Argentina |
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