Più che “I suoceri albanesi”, questa commedia si potrebbe intitolare “I suoceri italiani”. Sono loro i veri protagonisti di quest’ultimo ritratto romano di Gianni Clementi; poi però viene in mente il personaggio più riuscito della commedia, il carpentiere albanese Igli (Maurizio Pepe), esilarante e vero (emigrato dai Paesi dell’Est che sogna una Mercedes, seppure di seconda mano e una casetta a due piani nel Paese natìo), un po’ scorretto (odia i negri che non «c’hanno voja de fa gnente«), permaloso, lavoratore instancabile, furbo e persino dignitoso. Lucio (Francesco Pannofino) e Ginevra (Emanuela Rossi) sono la coppia romana alle prese con l’adolescente furiosa Camilla (Elisabetta Clementi): assessore comunale di sinistra lui, ristoratrice trendy da nouvelle cuisine lei (piatti con nomi altisonanti, poco gustosi e avari nelle porzioni). I personaggi di contorno sono altrettanto significativi per la trama: l’erborista Benedetta (Silvia Brogi), single, perennemente in analisi, alla ricerca dell’amore (invano) e il diplomatico militare (Andrea Lolli), viaggiatore, new age e saccente al limite del noioso. C’è poi l’adolescente Camilla in perenne conflitto con i genitori, che alla fine diventa un agnello mansueto grazie all’amore albanese di Lucian (Filippo Laganà).
La commedia scivola fino alla fine divertendo, creando complicità con il pubblico nel raccontare situazioni quotidiane come il complesso rapporto genitori e figli adolescenti, il contrasto tra la moglie chic e il marito ruspante, la presenza del vicino elegante petulante e i lavori di carpenteria che creano problemi con i condomini: «Poi vicino sona, rompe i c…», dice Igli.
Clementi ha il dono di saper ritrarre i costumi e i personaggi della città eterna, sa cogliere i tratti fondamentali dei personaggi in modo veritiero, ha delle intuizioni profonde elaborate nei toni lievi della commedia. Ne “I suoceri albanesi” è più leggero del solito, manca quella vena amara presente in altri lavori (è peccato, è la sua forza). Emanuela Rossi è una splendida “ninfona cinquantenne”, alterna la donna di successo alla madre ansiosa, comprensiva/ingenua («questi giovani sono così fragili»), alla moglie adattabile ai gusti culinari, non «cool» del marito, valorizzata dagli abiti di Gai Mattiolo (le donne del pubblico apprezzano). Pannofino convince più nel secondo atto, nel primo mette il pilota automatico sfruttando al massimo bravura e simpatia (forse interpretare un assessore comunale con convinzione di questi tempi non è proprio semplice, meglio fare il padre dell’adolescente, ndr); Lolli è impeccabile in tutte le trasformazioni, quando è formale, blasé o insegnante di Tai chi; Laganà e Clementi portano una ventata di freschezza, sempre figli d’arte; Maurizio Pepe è un gran caratterista, arriva in modo defilato, uno sguardo di traverso, qualche parola di buon senso con accento albanese ed è fatta, la scena è tutta sua, sparisce il resto.
Concludendo, in alcune scene le battute sono tirate via dagli attori e si sente qualche parolaccia di troppo (specchio dei tempi ma sempre stonate a teatro e scorciatoia per la risata facile), ma la storia c’è, diverte e la regia di Claudio Boccaccini ha un ritmo serrato fino alla fine. Due ore di sana allegria.
Titolo | I suoceri albanesi |
Autore | Gianni Clementi |
Regia | Claudio Boccaccini |
Costumi | Antonella Balsamo e Gai Mattiolo per Emanuela Rossi |
Luci | Aurelio Rizzuti |
Aiuto regia | Massimo Cardinali |
Interpreti | Francesco Pannofino, Emanuela Rossi, Andrea Lolli, Silvia Brogi, Maurizio Pepe, Filippo Laganà, Elisabetta Clementi |
Durata | 120' |
Produzione | Bis Tremila e Viola Produzioni srl, Sala Umberto Produzioni |
Anno | 2013 |
Genere | Commedia |
Applausi del pubblico | Ripetuti |
In scena | dal 26 dicembre 2014 al Teatro Sala Umberto di Roma |
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