Il vecchio Hamm è al centro, seduto su una poltrona-trono; il servo Clov gli si muove attorno a scatti spostando e rispostando una scala, come una lancetta impazzita. L’ossessivo ticchettìo di una sveglia scandisce un tempo che non passa mai, uguale e indefinito: l’ora è «la stessa di sempre».

Hamm non si può alzare, Clov non si può sedere: «A ciascuno la sua specialità». Sono facce della stessa medaglia, due voci che risuonano all’interno di una sola mente. I riferimenti metateatrali disseminati nell’opera sono squarci di lucidità, in cui i due protagonisti si dimostrano consapevoli di recitare una parte, di essere necessari l’uno all’altro: «A che servo io?», chiede Clov. «A darmi la battuta», risponde Hamm.

La scenografia proposta all’Eliseo evoca un’ambientazione postapocalittica, da bunker antiatomico: nulla sembra essere sopravvissuto oltre quelle finestre cieche e incassate. Immaginiamo, al di là delle pareti, un inferno grigio e inanimato – diverso o uguale a quello che si consuma all’interno della grande stanza. Esistono solo Hamm e Clov; e poi ci sono i genitori di Hamm, rinchiusi in grandi gabbie come carrelli da obitorio: quasi-morti, fantasmi che non si distaccano da un corpo dotato di bisogni carnali, sentono freddo e fame, ridono e piangono. Interpretati da Elisa Di Eusanio e Mauro Mandolini, appaiono ben più giovani del figlio Hamm, nudi in scena come una coppia di archetipici e disfatti Adamo ed Eva.

La regia di Andrea Baracco non prende rischi, non tenta azzardi innovativi, ma offre un ruolo perfetto all’ottantasettenne “mostro sacro” Glauco Mauri e un’ottima prova a Roberto Sturno, che a più riprese domina la scena. Baracco sceglie un registro medio, non spinge sull’acceleratore della spietatezza e neanche sul pedale della comicità grottesca. Quello messo in scena dalla Compagnia Mauri Sturno è un Beckett meno assurdo e più reale, che ci parla innanzitutto della vecchiaia: con le sue fissazioni, le angherie e i capricci, le stesse domande ripetute decine di volte, la voglia di essere lasciati soli assieme ad una disperata paura della solitudine, il tentativo di aggrapparsi alle abitudini per sfuggire all’irreversibile decadenza.

Un “Finale di partita” che si mantiene aderente al testo, accentuandone l’immobile circolarità: se Beckett alludeva nel finale ad una chiusura della storia, la regia sembra invece suggerire che quella raccontata sia una giornata come le altre, destinata a ripetersi all’infinito. La metaforica partita a scacchi non termina con un “finale” ma piuttosto con uno stallo: tutto torna come prima, senza alcuna evoluzione. La vita del vecchio Hamm è forse la vita di tutti: un’esistenza che non sa guardare al di fuori di stessa, ambisce al mutamento senza il coraggio di perseguirlo. Una vita che non esce dai binari dell’iterazione quotidiana in cui da sola si è imprigionata, è già morta prima di essere morta.

TitoloFinale di partita
AutoreSamuel Beckett
RegiaAndrea Baracco
MusicheGiacomo Vezzani
SceneMarta Crisolini Malatesta
CostumiMarta Crisolini Malatesta
LuciAlberto Biondi
InterpretiGlauco Mauri, Roberto Sturno, Elisa Di Eusanio, Mauro Mandolini
Durata80'
ProduzioneCompagnia Mauri Sturno
Applausi del pubblicoRipetuti
In scenadal 26 settembre al 15 ottobre 2017 al Teatro Eliseo - Via Nazionale, 183 - Roma