Una notizia improvvisa sconvolge la quotidianità di una famiglia qualsiasi; solo per due componenti però, Elena e Antonio, sorella e fratello. Di fronte alla scrivania di due medici (Aglaia Mora e Matteo Quinzi) vengono a conoscenza del malaugurato annuncio che investe la sorte dei genitori: Michela (Michela Martini) e Giovanni (Ermanno De Biagi), coppia affiatata di ultrasessantenni moriranno perché affetti da una rara malattia genetica che colpisce un individuo su sei milioni. La linea impalpabile che divide il caso dalla fortuna e del destino dalla sfortuna, è una traccia sottilissima e dolorosa. Lo sa bene Elena (Barbara Ronchi), l’ago della bilancia di questa cieca fatalità: lei, la figlia più piccola, la ribelle di casa, è la sola ad essere compatibile per la donazione delle cellule staminali. Deve sottoporsi ad un intervento, uno solamente, che determinerà la salvezza di un genitore e la morte dell’altro.

“Dall’alto di una fredda torre”, opera incisiva del duo Filippo Gili e Francesco Frangipane è il riscatto del panorama mediocre della contemporaneità teatrale. La scrittura fluida, dura alcune volte, concentrata sul tema della manchevolezza umana, è la prova esperta di una capacità narrativa notevole. Nella piccola realtà familiare si dispiegano i piani etici di un messaggio universale, di una sorte beffarda che si prende gioco dell’esistenza umana.

Cosa si prova ad essere gli artefici del destino altrui? Come si può sostituire il Padreterno? Questo il dilemma di Elena. E insieme, si può non scegliere? Ecco il tomento che logora Antonio (Massimiliano Benvenuto). In una scena fissa trascorrono i giorni. Attorno al tavolo tondo apparecchiato per la cena o per il pranzo della domenica, la famiglia Mori si ricompone. I genitori scherzano, il loro è un rapporto sodale; i figli fingono le abitudini, ma con meno risate. Sul palco, attorno alla tavola, avviene la simulazione, quella vera che protegge i vecchi dalla realtà. In fondo allo spazio scenico c’è un divano in pelle e una lampada rossa, (forse l’appartamento di Antonio): qui ci si dispera, i fratelli sfogano le inquietudini più oscure, le ossessioni più atroci. Si abbracciano Antonio e Elena, si picchiano e non scelgono. Oltre il tavolo tondo, una luce ad intermittenza si accende, fredda, è quella dello studio dei medici: i testimoni, gli spettatori della tragedia, coloro che attendono una risposta.

Il dramma dei fratelli Mori è una tragedia anomala che non giunge ad una vera e propria sublimazione. Il culmine non si manifesta esplicitamente e tutto sembra implodere: questa atmosfera  è il vero cuore dello spettacolo in cui lo spettatore non è più soltanto pubblico ma parte di un’esperienza emotiva contagiosa. Via via che il filo della narrazione passa da un quadro ad un altro, crescono i sentimenti di privazione, di trattenimento delle emozioni da una parte e di scoraggiamento dall’altra. E cresce la sofferenza. Il pubblico vibra di questo sentimento, ne è coinvolto quasi fisicamente. Quello di Barbara Ronchi e Massimiliano Benvenuto è un lavoro vivo, fatto di dialoghi naturali; ai loro silenzi nervosi s’intervalla un suono sordo, uno sgocciolio costante, forse il tempo che scorre o l’inevitabile smarrimento. Un’evocazione forte.

“Dall’alto di una fredda torre” inorgoglisce e crea domande: un testo valido, un’opera traboccante.

TitoloDall'alto di una fredda torre
AutoreFilippo Gili
RegiaFrancesco Frangipane
MusicheJonis Bascir
SceneFrancesco Ghisu
CostumiSabrina Beretta
LuciGiuseppe Filipponio
InterpretiMassimiliano Benvenuto, Ermanno De Biagi, Michela Martini, Aglaia Mora, Matteo Quinzi, Barbara Ronchi
Durata105'
ProduzioneProgetto Goldstein/Argot Studio/Uffici Teatrali
CoproduzioneProgetto Goldstein/Argot Studio/Uffici Teatrali
Anno2015
GenereTragedia
Applausi del pubblicoScroscianti
In scenaDal 7 al 25 Gennaio 2015 al Teatro Argot Studio di Roma