Senso
Autore: Gianni Guardigli, liberamente ispirato alla novella di Camillo Boito
Regia: Francesco Branchetti
Scene: Cristiano Pallotto Costumi: Cristiano Pallotto
Luci: Giorgio Rossi Musica: Pino Cangialosi
Produzione: Ass. Cult. Foxtrot Golf
Interpreti: Isabella Giannone
Anno di produzione: 2006 Genere: monologo

In scena: fino al 16 maggio al teatro Argot Studio di Roma

Sfida difficile quella di adattare la novella di Camillo Boito “Senso” a teatro. Come dimenticare le immagini del film di Luchino Visconti con Alida Valli come protagonista? La versione teatrale propone una dimensione tragica, gotica, decadente in cui l’azione si svolge tra la Seconda guerra mondiale e gli anni ‘60. La scenografia è composta da figure spettrali, riflettenti le inquietudini interiori della protagonista, la contessa Livia Serpieri, che condivide con il pubblico la storia di donna tradita dall'amante che a sua volta tradisce, facendolo arrestare e fucilare dai nazisti per vendicarsi del torto subito.

Il testo è ben scritto, anche se risulta un po’ confuso lo sfondo storico. La donna di questa versione ha un solo colore, il grigio: nelle vesti, nell’interpretazione e nel dolore che rappresenta.

La recitazione della protagonista si potrebbe definire “mucciniana”, sospirata quasi a soffocare il testo, a farne perdere il significato e la bellezza. Non ci sono variazioni di tono, persino quando la contessa Serpieri, in preda alla passione folle per il suo giovane amante, è disperata, ossessionata dai sensi di colpa.

Il cuore di una donna ha mille colori, questa ne ha uno solo. Peccato. Sarebbe stato interessante vedere la trasformazione da donna innamorata a tradita, la disperazione sarebbe stata più credibile. Non si percepisce, invece, l’estrazione nobiliare della protagonista nel modo di camminare, di vestire. Bastava un particolare trasandato su una figura elegante e sarebbe stato più chiaro al pubblico chi fosse la protagonista; un po' come Alessandro Manzoni che, descrivendo la monaca di Monza, evidenziava quel ciuffo di capelli che usciva dal velo, quale simbolo di una personalità deviante. Isabella Giannone si impegna, ma non cattura il pubblico, come se si sentisse fuori ruolo. Interessante l’idea, ma lo spettacolo andrebbe rivisto. [deborah ferrucci]


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