Ritter/Dene/Voss
Autore: Thomas Bernhard
Traduzione: Eugenio Bernardi
Regia: Piero Maccarinelli
Scene: Carmelo Giammello
Musica: Paolo Terni
Costumi: Gianluca Sbicca
Produzione: Teatro di Roma
Interpreti: Massimo Popolizio, Maria Paiato, Manuela Mandracchia
Anno di produzione: 2007 Genere: prosa
In scena: in turnè
Si respira aria di teatro nell’ultimo lavoro di Piero Maccarinelli, la tragicommedia che martedì 6 novembre ha debuttato in prima nazionale al Teatro India di Roma. Eugenio Bernardi ha tradotto Ritter/Dene/Voss, del drammaturgo austriaco Thomas Bernhard che si ispirò a tre grandi attori della compagnia di Claus Peymann: Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss, nei panni non di se stessi ma di tre surreali fratelli. E surreali lo sono per davvero i tre protagonisti nostrani al secolo Massimo Popolizio, Maria Paiato e Manuela Mandracchia.

Siamo in un’elegante sala da pranzo in stile viennese quando Dene/Paiato e Ritten/Mandracchia fanno il loro ingresso. Dalle pareti gli sguardi severi della famiglia, affacciati dai loro ritratti evocanti l’Espressionismo tedesco. Tra le mura della stanza si rivivono i momenti più intensi e significativi della storia di questa famiglia: tre fratelli, eredi di una cospicua fortuna, “in un gioco al massacro dissacrante e lucido” così come ha spiegato il regista. Le due sorelle, attrici per divertimento e non per mestiere, introducono, in un dibattito incalzante e a tratti lisergico, la figura del fratello Voss/Popolizio. Quando calca finalmente la scena, sappiamo già tutto di lui: sappiamo che è un filosofo – o perlomeno è questo che dice di sé – ma sappiamo soprattutto che periodicamente torna a casa dopo lunghi e volontari soggiorni nel manicomio di Steinhof; sappiamo che è autore di un trattato di logica e che la sua figura allude a Ludwig Wittgenstein; sappiamo che a volerlo a casa è la sorella Dene, contrariamente al parere di Ritter.

In un lungo dialogo allo stesso tempo con se stesso, le sorelle e i quadri, Voss riafferma le proprie ragioni, la propria volontà, il proprio pensiero. In un rapporto, che a volte ha dell’incestuoso, si relaziona alle sorelle con la pazza lucidità che solo un folle può avere. E l’interpretazione del grande Massimo Popolizio raggiunge vette elevate che solo pochi colleghi hanno la possibilità e il mestiere per raggiungere. Accanto a lui, nel delirio di parole e di azioni, Maria Paiato, formidabile nell’interpretazione della sorella ossessionata dai ricordi della famiglia, affannata nell’apparecchiare e sparecchiare la tavola, segretamente innamorata del fratello di cui è succube consenziente. Cresce con lo sviluppo della storia e segue l’ascesa delle emozioni contrastanti restituite dallo spettacolo, la performance di Manuela Mandracchia. È lei, delle due, quella meno interessata alla famiglia, alla casa e ai ricordi, anche materiali, del loro passato. Il teatro di parola è il protagonista di questo indiscusso capolavoro attoriale: i protagonisti danno emozione e regalano la vera essenza del teatro. [patrizia vitrugno]