Re Lear
Autore: William Shakespeare Traduzione: Edoardo Sanguineti
Regia: Marco Sciaccaluga
Scene: Valeria Manari Costumi: Valeria Manari
Musica: Andrea Nicolini Luci: Sandro Sussi
Produzione: Teatro Stabile di Genova
Interpreti: Eros Pagni, Alice Arcuri, Gianluca Gobbi, Maurizio Lastrico, Massimo Mesciulam, Orietta Notari, Aldo Ottobrino, Enzo Paci, Nicola Pannelli, Fiorenza Pieri, Vito Saccinto, Federico Vanni, Massimo Cagnina, Fabrizio Careddu, Michele Di Siena, Pier Luigi Pasino, Marco Pieralisi
Anno di produzione: 2008 Genere: tragedia
In scena: fino al 30 Novembre al Teatro Eliseo, via Via Nazionale 183, Roma |Tel. 064882114

Re Lear è considerata una delle migliori tragedie di William Shakespeare. Scritta nei primi anni del Seicento, basata sulla leggenda di Leir, un re della Britannia vissuto prima che questa diventasse parte dell’Impero Romano, è una storia arcaica, già raccontata in cronache, poemi e anche testi teatrali ancor prima di Shakespeare.
La vicenda è nota. Il vecchio Re Lear decide di dividere il proprio regno tra le tre figlie, a seconda dell’amore che sapranno dimostrargli. Due delle figlie, Goneril e Regan (rispettivamente sposate con il duca di Albany e di Cornovaglia), gli offrono subito altisonanti dichiarazioni d’affetto, mentre la terza, Cordelia, si limita a dichiaragli un giusto amore. Irritato dalla risposta, Lear la ripudia e divide tutto il suo regno tra Goneril e Regan, le quali s’impegnano a dargli ospitalità, un mese per una, in compagnia della sua scorta di cento cavalieri. Mentre Cordelia, sposatasi con il Re di Francia, abbandona il regno, Lear ha modo ben presto di constatare l’ingratitudine delle figlie favorite. Colpito nell’orgoglio di re e di padre, sempre più solo in compagnia del proprio Fool, Lear perde progressivamente la ragione. Nel frattempo la sua storia s’intreccia con quella del devoto Gloucester, anche lui protagonista di un dramma famigliare, che lo conduce alla disperazione e alla distruzione fisica in conseguenza delle manovre del figlio bastardo, Edmund, il quale riesce a convincerlo a mettere al bando l’innocente primogenito Edgar. Votate entrambe a un tragico precipizio, le due vicende umane si rispecchiano e s’intrecciano in una società stravolta dalle lotte intestine e dalle più violente passioni individuali.
Le scene ed i costumi di Valeria Manari ci trasportano in una terra lontana, orientale, all’interno di una tenda che assomiglia molto a quelle delle tribù nomadi asiatiche. Gli stessi costumi e capigliature, essenziali, asciutte, non vistose, ci riconducono ad un teatro in cui la forza delle parole e dei gesti assumono un peso quasi metafisico e allo stesso tempo di una forza dirompente. Sembra una trasposizione shakespeariana che ricorda quelle cinematografiche di Akira Kurosawa. La scena circolare sembra un palcoscenico di un circo, in cui vengono messe in gioco passioni umane, intrighi, follie e viaggi sul filo sospeso di pazzia e immaginazione.
«Accetterò l’invito di Edgar alla fine della tragedia a dire “ciò che sentiamo, e non quello che conviene dire - annota il regista Marco Sciaccaluga - La storia di Lear è la mia storia preferita, da quando me la raccontavano da bambino nella edulcorata versione di Charles Lamb. Me ne domando spesso il motivo: forse perché nessuna storia più di questa racconta il paradosso di stare al mondo. In essa tutto è efferato e insensato, è “la tragedia degli antropofagi” come la definì un illustre critico, dove “l’umanità deve per forza depredare se stessa come i mostri dell’abisso”, come ci dice Albany, uno dei suoi personaggi. Questa “mostrificata” storia dell’umanità me ne svela tutto l’orrore, ma è insieme capace di farmela disperatamente amare ».
Eros Pagni è un Re Lear duro ed irremovibile nelle sue decisioni ed azioni ma allo stesso tempo sofferente e debole quando colpito negli affetti più privati; circondato da un’ottima compagnia, composta da Alice Arcuri, Gianluca Gobbi, Maurizio Lastrico, Massimo Mesciulam, Orietta Notari, Aldo Ottobrino, Enzo Paci, Nicola Pannelli, Fiorenza Pieri, Vito Saccinto e Federico Vanni. La regia è rispettosa del testo, ma al contempo capace di esaltare la visionarietà di una tragedia ricca di sfumature, di variazioni interpretative e spunti di riflessione. Uno spettacolo da non perdere.
[fabio melandri]