I pugni in tasca
Autore: Marco Bellocchio
Regia: Stefania de Santis
Scene: Daniele Spisa Costumi: Daria Calvelli su abiti di Giorgio Armani
Luci: Loic Hamelin Musica: Ennio Morricone
Produzione: Antheia

Interpreti: Ambra Angiolini, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Aglaia Mora, Fabrizio Rongione, Giulia Weber

Anno di produzione: 2011 Genere: drammatico
In scena: fino al 13 febbraio 2011 al Teatro Quirino di Roma

I pugni in tasca” a teatro. Una scelta contemporanea, visto l'argomento trattato nel film di Marco Bellocchio, datato 1965: il dramma della sopravvivenza. In una villa vive una famiglia borghese, composta da una madre (Aglaia Mora) cieca e da quattro figli. Augusto (Fabrizio Rongione, una dizione accidentata), il maggiore, sente il peso della famiglia sulle spalle ed attende il momento di poter lasciare tutto per sposarsi con la fidanzata. C'è poi Leone (Giovanni Calcagno), il più giovane dei fratelli, epilettico ed incapace di ragionare; Giulia (Ambra Angiolini), esibizionista con la tendenza alla morbosità nei riguardi di Sandro (Pier Giorgio Bellocchio), fratello con una mente seppur lucida, anch'essa malata. Il suo raziocinio è atto a progettare diabolici piani per sopprimere i familiari più scomodi. E ci riesce: prima la madre, poi il fratello Leone. Questo in sintesi il film.

Sul palcoscenico la regista Stefania de Santis tenta di portare all'attenzione del pubblico l'asfissiante emotività dei fratelli, inserendoli in una scenografia (curata da Daniele Spisa) che riproduce nel miglior modo possibile i vari livelli della villa. Eppure, nonostante le buone intenzioni e la super-visione di Bellocchio padre, il progetto lascia interdetti. Gran parte dell'attenzione è puntata sui due protagonisti, Bellocchio e Angiolini. Nei loro dialoghi, nei corpi che si attraggono e respingono e nella tensione che porterà all'omicidio e all'incesto, non c'è la scintilla, mai. Il miracolo del teatro non si compie. Si segue lo spettacolo per osmosi. Manca quell'unione recitativa che eleva la semplice lettura del testo ad interpretazione. A questo si aggiunge un'altra difficoltà tecnica: le voci degli interpreti si disperdono al semplice tossire del pubblico. Difficile perciò seguire uno spettacolo che pare ancora legato alla fissità cinematografica e con un cast ancora da amalgamare.

Marco Bellocchio ha spiegato così il passaggio dalla sala cinematografica a quella teatrale: «Io oggi penso a “I pugni in tasca” come a un dramma della sopravvivenza in una famiglia dove l’amore è del tutto assente. Si vive in un deserto di affetti senza nessuna prospettiva per il futuro, una situazione di immobilità assoluta che fa pensare a un carcere o a un manicomio senza speranza di guarigione, rieducazione, riabilitazione, rinascita». [valentina venturi]