Il Pellegrino


Anno
2012

Genere
monologo

In scena
fino al 24 febbraio
Teatro dell’Angelo | Roma

Autore
Pierpaolo Palladino
Regia
Pierpaolo Palladino
Scene
Alessia Sambrini
Costumi
Alessia Sambrini
Luci
Alessia Sambrini,
Patrick Vitali
Musica
Pino Cangialosi
Interpreti
Massimo Wertmuller
Produzione
Racconti Teatrali

 

«Basta la paura e l'ignoranza a nun fa' sognà la gente?», si chiede un avvilito (e poco avvincente) Massimo Wertmuller, protagonista de "Il Pellegrino", monologo polimorfo in scena fino al 24 febbraio al Teatro dell'Angelo.

Sullo sfondo la Roma Papalina di fine Ottocento, reduce dallo strapotere Napoleonico e pronta a lasciarsi plasmare dalla restaurazione imposta da Pio VII; su una sedia lui, Ninetto, umile vetturino al servizio del potente Monsignor Caracciolo. Una vita tranquilla, tra strade dissestate all'ombra del cupolone e fogliette di vino versate sui banconi d'osteria. Mai uno scandalo che lo veda coinvolto, mai un grattacapo che mandi sulle furie la madre, anch'essa in carica presso l'ufficio cardinalizio. Un giorno però il Monsignore lo convoca: è in arrivo a Roma il milanese Conte Enrico, nipote dell'alto prelato costretto alla fuga dalla polizia austriaca per le sue idee giacobine e desideroso di conoscere le strade, i monumenti e le vergini che la città eterna gelosamente conserva. Dapprima reticente, Ninetto accetta di condurlo tra la storia e la mondanità, improvvisandosi Cicerone di una Roma «antica, verace». Ed ecco rivivere sul palco 26 personaggi e altrettante rocambolesche vicende, quali pennellate grossolane di un ritratto dell'Urbe che tende a qualificarsi più come italico contrappunto del capoluogo meneghino, piuttosto che capitale indiscussa della sincerità. L'accompagnamento musicale di clarinetto e fagotto, salvo qualche buona caratterizzazione, pecca nel coprire il racconto in più riprese (sarà voluto? Il testo esisterà comunque per una ragione). Così, tra un colpo di tamburo e un acuto di fiati, si arriva all'amara conclusione: che nella vita campa meglio chi si fa gli affari propri.

Un monologo a forte caratterizzazione romanesca, in cui Wertmuller non delude chi ne apprezza le doti trasformiste. Il talento nel reinventarsi a seconda dei contesti urbani, però, non può nulla contro una storia che, sebbene possa funzionare come compendio di romanità, viene diluita ben oltre i 30 minuti necessari per raccontarla in dettaglio. [gianluigi cacciotti]