Na specie de cadavere
Autore: da un'idea di Fabrizio Gifuni da “Scritti Corsari”, “Lettere Luterane”, “Siamo tutti in pericolo”, “La nuova forma della meglio gioventù”, “Abbozzo di sceneggiatura per un film su San Paolo”, “Poesia in forma di Rosa”, “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini e da “Il Pecora” di Giorgio Somalvico
Regia: Giuseppe Bertolucci
Scene: Costumi:
Luci: Cesare Accetta Musica:
Produzione: Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti
Interpreti: Fabrizio Gifuni
Anno di produzione: 2010 Genere: monologo
In scena: Fino al 21 novembre al Teatro Valle di Roma

Quando Fabrizio Gifuni si dedica al teatro lo fa in grande stile. Il suo è un teatro viscerale, fisicamente impegnativo. La sua maschera è plastica, poliedrica. Torna al teatro con una monografia, la sua, in scena al Valle. “’Na specie de cadavere lunghissimo” non è solo un monologo. Il regista Giuseppe Bertolucci mette insieme due personaggi e Gifuni è per due volte declinato in modo differente. Gifuni è il Padre, Pier Paolo Pasolini. Gifuni è il Figlio, il suo assassino Pino Pelosi. Il primo recita con lenta maestria raccontando degli intellettuali che perdono i treni perché consultano un orario scaduto da un anno, del consumismo mediatico, dell’Italia priva di dignità e coscienza politica perché da noi l’uguaglianza non è stata conquistata ma regalata, dei jeans Jesus e della falsa tolleranza. Il secondo parla con gli endecasillabi dialettali di Giorgio Somalvico, che nel poemetto “Il Pecora” racconta la lisergica notte dell’omicidio dell’Idroscalo.
Il passaggio da un registro all’altro è di una forza disarmante. Sul palco sembrano esserci due attori, differenti per natura e intenzione. Dall’intimità di un racconto svelato alla luce di un lampione, tra i tavolini di un bar all’allucinata follia di chi ha appena compiuto un delitto e subito dopo è fuggito sulla Giulietta.
Un “Ah! Che ve possino!!! Che me fregava s’era Petrolini” sottolineato da un fascio di luce chiude lo spettacolo consegnando il senso dell’intera operazione direttamente nelle mani dello spettatore. Perché il teatro di Gifuni è questo: turbamento e straniamento.
[patrizia vitrugno]