Molly


Anno
2011

Genere
monologo

In scena
fino al 2 dicembre
Teatro Argot | Roma

Autore
James Joyce
Adattamento/Traduzione
Chiara Caselli,
GIanni Celati
Regia
Maurizio Panici
Scene
Barbara Bessi
Costumi
Barbara Bessi
Luci
Roberto Rocca
Interpreti
Chiara Caselli

 

Come un fiume in piena che rompe gli argini nel cuore della notte, il celebre monologo di Molly Bloom che chiude l’ “Ulisse” di James Joyce rappresenta una delle pagine più prorompenti della letteratura novecentesca. Debitrice della magistrale interpretazione di Piera Degli Esposti, che si immerse in quest’opera alla fine degli anni Settanta, Chiara Caselli dona alla Penelope fedifraga del romanzo una sensualità spiazzante, una fisicità nervosa che si agita imprigionata in una sottile sottoveste beige. Il flusso di coscienza sgorga da un’anima divisa in mille frammenti, raggiunge le vette impensate dell’inquietudine e scende nei più segreti abissi dell’interiorità, irrobustito dalla prova di un’attrice che, nel corso degli anni, è riuscita a conquistare autori come Michelangelo Antonioni, i fratelli Taviani, Liliana Cavani, Dario Argento e Gus Van Sant.

La lunga notte di “Molly” è costellata di sensazioni, di episodi vicini e lontani, di una mescolanza di passato e presente che non le preclude di rivolgere lo sguardo verso un futuro magmatico. Seminuda, a tratti lasciva, si muove come chiusa in cattività nella stanza di un caseggiato disperso in uno dei quartieri più poveri di Dublino. Il letto-alcova dal colore blu scuro che domina la scena, è l’unico rifugio concessole all’interno di una città irreale, di un mondo che sembra scandire la sua presenza solo attraverso i campanili delle chiese che battono l’ora. E nell’attesa che il marito rientri a casa, la donna ripercorre i momenti decisivi del suo cammino terrestre: gli amori giusti e quelli sbagliati, l’altalenante rapporto con Leopold, segnato dai reciproci tradimenti, le gioie della vita di tutti i giorni e quelle dell’eros più sfrenato, la morte di un figlio ancora in fasce.

Inquieta Penelope anche nei movimenti più impercettibili del corpo, Chiara Caselli restituisce con la parola vitalità e forza alle immagini della memoria: ai due corpi avvinghiati, distesi tra i rododendri, al primo bacio che toglie il fiato, agli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all’ombra sugli scalini, al cuore che batte impazzito nel petto, a quell’ultimo, fatidico sì che conclude l’opera. La regia di Maurizio Panici è tesa a lasciare spazio alla prova dell’attrice, come conferma la nudità della scena e le luci che solo, in momenti isolati, del tutto autonomi rispetto all’inarrestabile flusso di coscienza che agita la protagonista, si colorano di un blu intonato a quello del letto-alcova. Eppure questa ricerca dell’essenzialità, soprattutto al termine del lungo monologo, fa avvertire allo spettatore la necessità di un tema musicale, magari soltanto accennato. [valerio refat]