Mi chiamo Antonio Calderone
Autore: Dacia Maraini
Regia: Pino Caruso
Scene: Musica:
Luci: Costumi:
Produzione: Teatro Biondo Stabile di Palermo, Teatro Stabile di Catania
Interpreti: Pino Caruso
Anno di produzione: 2010 Genere: monologo
In scena: fino al 21 febbraio al Teatro Piccolo Eliseo di Roma

n scena lo spettacolo di Pino Caruso, da un testo di Dacia Maraini, intitolato “Mi Chiamo Antonino Calderone”. Il lavoro, tratto da “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi e sapientemente scritto da un’autrice italiana che rende lustro al nostro paese nel mondo, i cui romanzi e i testi teatrali sono rappresentati al livello internazionale, è basato sulle testimonianze di un noto pentito di mafia. Fino al 1978, il potente boss Calderone controllò gli affari della mafia catanese. Poi per lotte intestine, perse il titolo di boss e il fratello Giuseppe, ucciso a tradimento.
Perseguitato dai clan avversari e dalla polizia, Calderone dovette fuggire dall’Italia rifugiandosi in Francia, dove mise in piedi una piccola attività di lavanderia; dopo qualche tempo fu arrestato e decise di collaborare con la giustizia, sottoponendosi al programma di protezione insieme alla famiglia. Giovanni Falcone si è recato più volte in Francia riuscendo, grazie alle rivelazioni di Calderone, a portare a termine circa 200 arresti.
“Calderone ha raccontato la sua vita a Pino Arlacchi che ne ha fatto un libro. E io ho raccontato a mia volta, in forma teatrale, la storia di quest’uomo dalla vita avventurosa e difficile, inseguito dalla vendetta”, dice la Maraini. Ed è proprio lo stile narrativo l’elemento fondante di questo monologo. Si racconta per informare, per rendere cosciente, un pubblico a volte poco informato, di quella che fu chiamata “cosa nostra” e poi “cupola”. Un’organizzazione della quale lo stesso Antonino riferisce: la polizia all’inizio sapeva poco o nulla, alcuni ne mettevano addirittura in dubbio l’esistenza. Tra le regole fondamentali infatti c’era quella di non lasciare mai, per nessun motivo, qualcosa di scritto. Tutto si basava sulla parola e queste parole, usate per spaventare, per uccidere, per supplicare, ricordi che martellano ancora nella testa di Calderone, sono state le pietre che hanno segnato il limite tra la vita e la morte di alcuni esseri umani. Un assassino che a volte si rende simpatico, forse perché veramente pentito, anche se ormai incapace di porvi rimedio.
Pino Caruso è un narratore elegante, misurato, essenziale interprete di un mondo, quello siciliano, che ben conosce e sa riportare. La durata del racconto è ben calibrata e sfuma delicatamente verso il finale. Rimane la sensazione di poter ritornare ad ascoltare altre storie, raccontate da un uomo vecchio che forse ha saputo riconoscere, dopo terribili esperienze, il vero senso della vita.
[annalisa picconi]