I Masnadieri


Anno
2011

Genere
tragedia

In scena
in turnè

Autore
Friedrich Schiller
Regia
Gabriele Lavia
Scene
Alessandro Camera
Costumi
Andrea Viotti
Luci
Simone De Angelis
Musica
Franco Mussida
Interpreti
Francesco Bonomo,
Fabio Casali,
Daniele Ciglia,
Michele Demaria,
Filippo De Toro,
Davide Gagliardini,
Gianni Giuliano
Produzione
Teatro di Roma, Teatro Stabile dell’Umbria, in collaborazione con la Versiliana Festival

 

Nella sua versione metallica e urlata dei “Masnadieri” di Schiller, Gabriele Lavia, forse per avvicinare il tema della ribellione giovanile del dramma ottocentesco alla generazione attuale, sceglie la strada del linguaggio moderno, pur lasciando l’originalità del testo. Creando però dei conflitti evidenti.

È vero che l’autore scrisse questo dramma a 21 anni, ma i suoi vent’anni non possono essere quelli di oggi. Anche se si parla di un figlio di papà, il conte Karl Von Moor, che va a studiare a Lipsia, con un fratello brutto e complessato che trama contro di lui fino a cucirgli addosso l’immagine di figlio degenere a capo di una banda di delinquenti. Pensiero funesto che diventa realtà, allontanando Karl dall’amore del padre e dell’amata fidanzata Amelia (Cristina Pasino).

Questi Masnadieri sono una banda rock stile The Doors, di cui Karl (Simone Toni) è il Jim Morrison bello e dannato. Toni si muove con un’andatura scivolata, da palcoscenico di concerto rock, finto contrito; come dare credibilità ai drammi che agitano il suo animo nel secondo atto attraverso i versi di Schiller sul senso della vita?

Franz, fratello brutto e invidioso, vive nelle sembianze di Francesco Bonomo, interprete troppo bello, alto e fisicamente sano, per far credere al rancore per Karl, nonostante l’escamotage teatrale del passo claudicante. Franz è subito maligno, quindi poco credibile; è finto e perde le sfumature del personaggio schilleriano.

Amalia somiglia ad Emma, la cantante vincitrice di Sanremo o a Carmen Consoli, una giovane arrabbiata dall’inizio alla fine. Come credere che Franz la chiami definendola “Angelo”? Magari sfumando di più il personaggio tra maschile e femminile, si sarebbe riusciti ad essere contemporanei, evidenziando la pericolosità tutta moderna del femminile quando propende troppo sull’androgino. Marco Grossi, l’interprete di Spiegelberg, uno dei masnadieri più carismatici, è anche il più vero, in cui ribellione e autenticità si toccano.

Peccato. Con tanti mezzi a disposizione, perché farsi tentare da un’unica visione? Lavia sceglie un adattamento nichilista, senza speranza, laddove dei barlumi di poesia nel testo originale c’erano, soprattutto nel personaggio di Amelia, dolce e appassionata, degna di Pentesilea di Von Kleist. Un’analisi del doppio sarebbe stata molto più interessante.

Avvicinare il teatro ai giovani forse è possibile strizzando l’occhio sul mondo della comunicazione delle immagini, ma evidenziando i rischi che questa scelta comporta, se è vero, come ha dichiarato di recente il regista romano, che la cultura occidentale ha assegnato al teatro il compito di mostrare l’essenza dell’uomo. [deborah ferrucci]