Il malato immaginario
Autore: Moliere
Regia: Gabriele Lavia
Scene: Alessandro Camera Costumi: Andrea Viotti
Luci: Simone De Angelis Musica: Giordano Corapi
Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria - Compagnia Lavia Anagni

Interpreti: Gabriele Lavia, Pietro Biondi, Gianni De Lellis, Giorgio Crisafi, Barbara Begala, Mauro Mandolini, Vittorio Vannutelli, Giulia Galiani, Andrea Macaluso, Michele Demaria, Lucia Lavia

Anno di produzione: 2010 Genere: commedia
In scena: fino al 27 febbraio al Teatro Argentina di Roma

Messi in soffitta gli abiti dai ricami preziosi e le candide parrucche ricciolute, segno distintivo del secolo di Luigi XIV del quale Molière fu interprete critico per eccellenza, Gabriele Lavia porta in scena una rilettura del “Malato immaginario”, in cui la satira della medicina e in senso più ampio di un potere ignorante che opprime e tiranneggia, si gioca all’interno di un salone ampio ed essenziale. Un’enorme scacchiera sulla quale l’ossessione della morte non smette mai di volteggiare.

È in questo spazio disadorno che Argante (Gabriele Lavia), credendosi vittima dei morbi più spaventevoli, si divide fra il letto, la scrivania e il gabinetto a vista in cui lo conducono le purghe e i clisteri che gli vengono somministrati, con interessata cura, dai dottori Purgone, Diarreus e Fetus. Questi ultimi, con le loro figure grottesche e rivoltanti e l'incedere su tacchi da donna, come in un incubo incessante, rappresentano la mostruosità di quel potere al quale il protagonista non è in grado di opporsi. All’affetto sincero della figlia Angelica (la diciottenne Lucia Lavia, al debutto), segretamente innamorata di Cleante (Andrea Macaluso), ma promessa sposa al dottor Diarreus figlio (Michele Demaria), fa da contraltare la cupidigia della giovane moglie Belinda (Giulia Giuliani), che si muove in scena seminuda dispensando al marito (e all’occorrenza all’amante notaio) effusioni lascive. In questo gioco di specchi contrapposti, ma anche oscuri e deformanti come quelli enormi che campeggiano in scena, Argante riesce a ribellarsi, seppure flebilmente, agli “ordini della medicina”. Ma, a differenza della versione classica, il protagonista continua ad aggirarsi nella sua stanza solitario e invecchiato, in preda ad un’ipocondria che prelude al crollo finale.

La rilettura che Lavia offre del testamento artistico di Molière è mirabile, brilla per i numerosi riferimenti al teatro di Samuel Beckett: l’architettura interiore del protagonista prende forma attraverso i pensieri malinconici di “Malone muore” relegati, assieme alle ricette e alle diagnosi mediche, all’interno di un registratore come ne “L’ultimo nastro di Krapp”. Da segnalare la prova corale degli interpreti, abili nel muoversi in scena in una sorta di interminabile girotondo, come le nude marionette del teatro dell’assurdo. [valerio refat]