Macbeth
Autore: William Shakespeare Traduzione: Alessandro Serpieri
Regia: Gabriele Lavia
Scene: Alessandro Camera Costumi: Andrea Viotti
Musica: Giordano Còrapi
Luci: Pietro Sperduti
Compagnia: Lavia Anagni
Interpreti: Gabriele Lavia, Giovanna Di Rauso, Maurizio Lombardi, Biagio Forestieri, Patrizio Cigliano, Mario Pietramala, Alessandro Parise, Michele Demaria, Daniel Dwerryhouse, Fabrizio Vona, Andrea Macaluso, Mauro Celaia, Giorgia Sinicorni, Chiara Degani, Giulia Galiani
Anno di produzione: 2008 Genere: drammatico
In scena: dal 1 al 13 dicembre al Teatro Quirino di Roma

Tragedia del sangue, del potere e dell’ambizione. Il Macbeth shakesperiano riassume la crisi del nuovo millennio. Sarà per questo che Gabriele Lavia l’ha scelta per portarla in tournée per l’Italia, nonostante esistano superstizioni secondo cui il dramma sia in qualche modo “maledetto”. (Alcuni attori non menzionano ad alta voce il titolo, riferendosi ad esso come “Il dramma scozzese”). La storia è nota: tre streghe predicono a Macbeth (Gabriele Lavia) la corona. Da questo momento in poi l’unico desiderio del barone di Glamis, spinto e motivato dalla moglie Lady Macbeth (una Giovanna Di Rauso con voce troppo flebile, ma con una presenza scenica adeguata alla tragedia), sarà attuare il regicidio, impadronirsi della corona e proteggerla con la morte. L’azione sanguinaria segna indissolubilmente la coppia di assassini, sino all’inevitabile disfatta.
Il regista ha dichiarato: “Macbeth è la tragedia del tempo umano, lineare; il tempo di una esistenza fatta di “Domani…domani…domani” E’ un tempo fatto di paura. E’ la tragedia del tempo di un Uomo Nuovo condannato al “fare” per “potersi fare”. Re o altro ha poca importanza. Un uomo condannato alla paura di perdere ciò che ha raggiunto col suo “fare” e che vive nella ambigua incertezza di essere qualcosa e non essere mai nulla con certezza. Questo Uomo Nuovo non è portatore di un nuovo modello di realtà, ma il dubbioso interprete di una soggettività in pezzi, pieno di nostalgia per un’ontologia smarrita per sempre. “C’è stato un tempo in cui” dice Macbeth sulla scena che non è più il senso dentro cui agire e che non ha più senso. Il palcoscenico della storia è andato in pezzi e l’Uomo – Attore sulla scena del mondo recita la sua vita come “la favola scritta da un’idiota. Non significa nulla”. Se tutti i riferimenti e i fondamenti sono caduti, tutti i significati e i sensi si vanificano nelle parole vuote di un delirio di pazzi”.
La crisi dell’uomo è resa attraverso una scenografia funerea, presaga di morte e di dissoluzione. Gli abiti sono rigide divise militari e alle spade si alternano colpi di pistola. Lo spazio scenico è diviso in due: l’intimità macbethiana, fatta di incertezze e paure, si palesa nella camera da letto, davanti al “camerino”; l’uomo pubblico, il re ormai imbellettato ed impagliato (gli abiti, il trucco e le scarpe accentuano la trasformazione), occupa gran parte del palcoscenico. Uno spettacolo è teso e bel calibrato, con però un’inspiegabile accelerazione recitativa che spesso disperde le battute, coperte dal proscenio e dalla musica.
[valentina venturi]