Il figlio
Autore: Serena Guardone Traduzione:
Regia: Paolo Zuccari
Scene: Costumi:
Luci: Musica:
Produzione: Centro di Drammaturgia Permanente, Compagnia Attori e Tecnici
Interpreti: Alessandra Paoletti, Barbara Folchitto, Maria Grazia Laurini, Alessandro Federico
Anno di produzione: 2010 Genere: drammatico
In scena: fino al 3 ottobre al Teatro Vittoria di Roma |

L'attesa è il sale della vita. O anche la sintesi. Anna, Ida e Ines ne sono l'incarnazione: chi aspetta un figlio, chi il figlio, chi entrambi. In un pomeriggio d'estate le tre donne (Alessandra Paoletti, Barbara Folchitto e Maria Grazia Laurini) attendono con ansia la partenza per le vacanze, ingannando il tempo tra cruciverba, confessioni e ricordi. Legate reciprocamente e indissolubilmente, le protagoniste finiranno per confessarsi le reciproche debolezze, facendo i conti con un passato ormai troppo ingombrante e l'ipotesi di un futuro diverso, nuovo, indipendente. A legarle il concetto di figlio e, recondito, il bisogno di amore. Il professore (Alessandro Federico, coi suoi ottimi tempi) è esattamente questo: una figura appena abbozzata, poco definita, usata quasi solo per dare un minimo di azione alla storia che prosegue senza sussulti. Fino ad un finale che lascia interdetti, perché ridondante nella sua ovvietà.

Nato dal progetto la "Casa della Drammaturgia" che ha sede, appunto, nel Teatro Vittoria, "Il figlio" ne ha aperto la stagione 2010/2011. L'allestimento è semplice e funzionale, nulla è lasciato all'immaginazione. Musiche praticamente assenti, se si escludono scampanellate interne e esterne che si susseguono ritmicamente.

Paolo Zuccari firma una regia asettica del testo della giovane autrice Serena Guardone, che lancia molti input, ma non ne approfondisce nessuno. E così fa la regia: si tiene distante, non interviene (non si comprende se volutamente o meno), lascia raccontare. Ma il racconto non ha forza e, forse, idee registiche di un certo livello - come Zuccari ne ha avute in passato - avrebbero potuto risollevare le sorti dello spettacolo che resta, quindi, in fase embrionale.
[patrizia vitrugno]