Edipo Re
Autore: Sofocle Traduzione: Raul Montanari
Regia: Antonio Calenda
Scene: Pier Paolo Bisleri Costumi: Stefano Nicolao
Luci: Gigi Saccomandi Musica: Germano Mazzochetti
Produzione: Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia, Teatro de Gli Incamminati, Teatro di Messina
Interpreti: Franco Branciaroli, Giancarlo Cortesi, Emanuele Fortunati, Gianfranco Quero, Alfonso Veneroso, Livio Bisignano, Tino Calabrò, Angelo Campolo, Filippo De Toro, Luca Fiorino, Luigi Rizzo
Anno di produzione: 2010 Genere: tragedia
In scena: fino al 19 Novembre al Teatro Argentina di Roma

“Uomini della mia patria, guardate, questo è Edipo che scioglieva celebri enigmi ed era il più potente tra noi e non senza invidia lo guardavamo. In quale gorgo di sciagura annega! No, non credete alla felicità di nessun uomo prima che oltrepassi senza dolore l’ultimo traguardo per giudicare una vita: aspettate!”. Guardate Edipo, Tiresia e poi Giocasta. Guardateli assieme e separatamente. Assieme perché così sono nell’unicum di Branciaroli; separatamente perché dei tre ne esprime le diverse personalità. Una scarpa rossa, un drappo, uno svarione vocale, un letto per raccontare se stesso, i suoi tanti io. “Questo giorno ti farà nascere e poi ti annienterà!”.
L’analista è sempre lì, di schiena, ascolta il turbinio di voci e persone che vivono nella testa di Edipo. Tragedia nella tragedia, un uomo che combatte contro se stesso e contro il proprio terribile destino. Tagli di luce inquadrano il coro, sollevandolo verso atmosfere caravaggesche. In fondo, dietro uno squarcio che illumina il buio, i tanti e ordinati occhi dei coreuti. Occhi che scrutano e fanno da ponte tra sogno e veglia. È lo stesso coro che divide il servo, in un groviglio di braccia e gambe, ognuno a simboleggiare una parte del tutto, nell’angoscioso e disperato atto della confessione/rivelazione dell’enigma.

Intero e diviso, totale e parziale. Edipo è la mente umana, simbolo e prototipo. Calenda gioca su questo, si rifà al mito greco di cui parla la psicanalisi, da Freud a Lacan. Si poggia su un gioco di luci avvolgenti, che hanno la maestria di Gigi Saccomandi. In ottanta minuti condensa il travaglio di uomo, aprendoci la sua psiche. Provocandoci. E conquistandoci. [patrizia vitrugno]