Die Panne ovvero la notte più bella della mia vita
Autore: Friedrich Dürrenmatt Traduzione: Italo Alighiero Chiusano
Regia: Armando Pugliese
Scene: Andrea Taddei Costumi: Silvia Polidori
Musica: Luci: Angelo Ugazzi
Produzione: Indie Occidentali, Neraonda
Interpreti: Gian Marco Tognazzi, Bruno Armando, Giovanni Argante, Lombardo Fornara, Franz Cantalupo, Lidya Giordan
Anno di produzione: 2009 Genere: drammatico
In scena: fino al 14 Febbraio al Teatro Eliseo di Roma

In Die Panne Alfredo Traps è una moderna Alice nel paese delle meraviglie. In questo caso però non è la curiosità a indurlo a seguire il Bianconiglio, bensì un banale contrattempo: l’automobile in panne. Cercando aiuto, trova ospitalità nella casa di un vecchio giudice che è in compagnia di due amici, un pubblico ministero e un avvocato in pensione. I due gli spiegano, con l’intento di coinvolgerlo, il loro unico passatempo: celebrare di nuovo alcuni importanti processi storici come quello a Socrate, a Gesù e a Federico di Prussia. Catapultato in una realtà che ha del fantastico, si celebra un processo surreale tanto quanto il buon-non-compleanno della favola di Lewis Carroll. Tra una bottiglia di vino e l’altra, Traps si ritrova imputato in un’atmosfera sempre più inquietante.
Die Panne è considerato uno dei lavori più eloquenti del pensiero e della poetica di Friedrich Dürrenmatt. L’adattamento teatrale di Edoardo Erba, diretto da Armando Pugliese, risulta però poco convincente. L’originalità della penna dello scrittore di origini svizzere si perde nella lentezza della messinscena. Tra gli attori nessuno spicca per incisività o brillantezza. La storia procede piatta e scialba, anche nei momenti che avrebbero potuto strappare risate o almeno divertire (uno per tutti il rituale del vino). Il sotto-testo dell’opera è a tutti gli effetti molto più ricco e articolato, di quanto non sia la trama stessa. Lì dove l’autore descrive con leggerezza e comicità, sul palco tutto appare pesante e interminabile. Anche l’angosciante tragicità dei personaggi e la difficoltà, comune a ogni uomo, di incontrarsi e scontrarsi con la propria coscienza, sono rese con meccanicità e scarsa intenzione.
Alfredo Traps è interpretato da un Gian Marco Tognazzi, in evidente difficoltà ad emergere all’interno di una compagnia nella quale tutti si equivalgono e nessuno riesce a conferire una nota positiva e personale allo spettacolo. Tempi troppo lunghi, dialoghi lenti, pezzi comici inutilmente ripetitivi non rendono giustizia al testo e ai suoi significati sottesi “altri”, che nelle quasi due ore di spettacolo perdono l'iniziale e geniale verve. [patrizia vitrugno]