“La
vita è un gioco e io sono un giocatore nato”: è
questo il principio secondo il quale Jaeckie Zucker (Henry Hübchen)
vive la sua vita. Ex stella del giornalismo della Germania dell’Est,
dopo la caduta del Muro si ritrova a sopravvivere grazie a piccole
truffe ed alla sua abilità nel gioco del biliardo. Una
famiglia disastrata alle spalle, una figlia lesbica, un figlio
dalle tendenze ‘incerte’, messo sulla strada da
una moglie stanca delle sue bugie ed un fratello ebreo ortodosso
con cui non parla da anni. “Sarò anche nella merda,
ma perlomeno il panorama è ottimo”. Ed a questo
irrazionale ottimismo dovrà far affidamento il giorno
in cui viene a conoscenza della morte dell’anziana madre
e della sua ultima volontà, pena l’esclusione dal
testamento, di riconciliarsi con il fratello Samuel.
Primo esempio di commedia tedesca che ‘osa’ scherzare
sugli ebrei, Zucker (tralasciamo
volutamente il sottotitolo italiano) è una commedia degli
equivoci che gioca divertitamente sugli stereotipi ebrei pescando
a piene mani sulla tradizione comica yiddish. Al contempo affronta
un tema quello delle famiglie che furono divise dalla costruzione
del Muro di Berlino. Due parti di una stessa famiglia in lotta
tra loro, ortodossi contro non credenti, ovest contro est, capitalismo
contro comunismo, si confrontano in una Berlino moderna: il
risultato è un piacevole scontro tra civiltà per
fortuna non risolto dall’intervento di una Maria De Filippi
di turno.
Zucker punta molto sulla istrionica
interpretazione del suo protagonista Henry Hübchen e su
un cast affiatatissimo, tra cui emergono Udo Samel (Samuel)
e Hannelore Elsner (la moglie di Jaeckie), capace di renderci
familiari e simpatici personaggi meravigliosi nella loro imperfezione,
al servizio di una sceneggiatura in cui traspare una sincerità
di fondo ed una leggerezza di stile e scrittura, supportato
da una regia capace di mantenere il ritmo della narrazione tanto
alto da soprassedere su minute inverosimiglianze ed imprecisioni.
Mazel Tov! [fabio
melandri]
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