La parabola
artistica di Darren Aronofsky non conosce mezze misure. Tanto
amato per i primi suoi due film, tanto da imporlo come autore
di culto (Il teorema del delirio,
Requiem for a dream presentato
nel 2000 al Festival di Cannes, il film fa il giro del mondo
e vince numerosi riconoscimenti internazionali, oltre alla
candidatura all’Oscar per l’attrice protagonista,
Ellen Burstyn) ed altrettanto irriso dopo The
Fountain – L’albero della vita presentato
in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e fischiato
come pochi tanto da far pensare ad un bluff.
Ed invece, tra lo scetticismo generale, sottolineato dal fatto
che il suo film è passato l’ultimo giorno in
concorso a Venezia sparigliando ogni previsione e scuotendo
finalmente un Lido immerso nell’immobilismo di drammi
esistenziali fintamente d’autore ed opere imbalsamate
nelle glorie passate dei loro autori, ecco la grande sorpresa
di The Wrestler, strameritatissimo
Leone d'Oro.
Randy “The Ram” Robinson (Mickey Rourke) era un
wrestler professionista di rinomata fama alla fine degli anni
80’. Vent’anni dopo tira avanti esibendosi per
i fans del duro wrestling nelle palestre dei licei e nelle
comunità del New Jersey. Allontanatosi dalla figlia
(Evan Rachel Wood), incapace di sostenere un vero rapporto,
Randy vive per il brivido dello show, per l’adrenalina
del combattimento e per l’adorazione dei fans che gli
rimangono. Colto da un infarto durante un combattimento, il
dottore gli dice di eliminare gli steroidi e di sospendere
i combattimenti di wrestling. Costretto a lasciare lo show-business,
Randy comincia a riflettere sulla sua vita. Prova a riallacciare
i rapporti con sua figlia e inizia una relazione con una spogliarellista
(Marisa Tomei) ormai non più giovanissima. Per un periodo
le cose funzionano; tuttavia il richiamo della ribalta è
troppo forte per lui e Randy si cimenta ancora una volta nel
combattimento sul ring.
Attraverso uno stile documentaristico, Aronofsky ci porta
dietro le quinte dello scintillante mondo del wrestling professionistico,
dove realtà e finzione si mescolano in un equilibrio
instabile, tra regole d’onore, patti da rispettare e
botte reali che comunque i lottatori prendono e danno con
stoico masochismo. Il tutto per entrare nei cuori di un pubblico
che ama vedere i propri eroi massacrarsi vicendevolmente,
in uno spettacolo impossibile da fermare all’interno
di un mondo che una volta entrato nonostante tutti gli sforzi
uno possa fare, è impossibilitato ad uscirne. E tra
realtà e finzione si mescola anche la storia pubblica
e privata di colui che, corpo sfatto da troppo alcool, droghe,
incontri di boxe ed operazioni chirurgiche, dà respiro,
muscoli, sangue e tanta umanità al protagonista Randy,
un immenso, commuovente, incredibile Mickey Rourke, capace
di una recitazione giocata sui sottotoni, per far emergere
sotto kili di carne da macello una sofferenza e solitudine
di fondo che lascia commossi e senza parole.
L’estetica del film è documentaristica, lo stile
narrativo calibrato, essenziale, senza sbavature, gli interpreti
Rourke ma anche Marisa Tomei, che dopo Onora
il padre e la madre di Lumet sembra vivere una seconda
giovinezza, e la giovane Evan Rachel Wood nel difficile ed
ad alto rischio patetico ruolo della figlia del protagonista.
E come in Rocky Balboa di Stallone,
anche in The Wrestler è
l’umanità, il privato, la sofferenza degli affetti
ad emergere con maggior forza, passione ed emozione, la solitudine
di uomini amati in pubblico ma odiati e rifiutati nel quotidiano,
una morsa che veste il nostro personaggio di una tragicità
antica ed epifanica. Immenso, da non perdere.
[fabio melandri]