Water
è il terzo film di una trilogia sugli elementi (acqua,
fuoco, terra) realizzata dalla regista Deepha Mehta. Inizialmente
il film doveva essere girato in India, ma i fondamentalisti
indù hanno violentemente protestato bruciando il set
e minacciando di morte la regista e le attrici e costringendo,
nel 2000, la produzione a bloccarne la realizzazione, ripresa
successivamente nel 2004 nello Shri Lanka.
Ancora oggi 34 milioni di vedove indiane vivono in condizioni
di privazione assoluta come prescritto 2000 anni fa dai testi
sacri. Le vedove infatti, con la morte del marito, venivano
declassate all’ultimo gradino della scala sociale perdendo
ogni diritto e recluse in ambienti ‘asettici’
gli ashrams, le case delle vedove. Sempre secondo i testi
sacri, l’unico modo per ovviare a questa condizione
era per le vedove o morire insieme ai propri mariti oppure
sposare il fratello del marito. Spesso e volentieri però
non era lasciata nessuna libertà di scelta a queste
donne e quindi avviate negli ashrams per meri motivi economici:
un letto, una bocca in meno da sfamare. Solo ragioni economiche
quindi, avallate da prescrizioni religiose. La cosa già
di per se drammatica, peggiora quando protagoniste del vedovato
sono giovanissime bambine. Infatti in India la prassi delle
spose bambine era in vigore sino a pochissimo tempo fa. Lo
era senza ombra di dubbio nel 1938, anno in cui è ambientata
la storia di una giovane vedova di 7 anni Chuyia, ribelle
ed insofferente agli stretti dettami religiosi, chiusa in
una casa delle vedove dove fa conoscenza ed amicizia con Shakuntala,
la più enigmatica delle vedove che presto assume il
ruolo di protettrice e madre putativa della giovane bambina,
e Kalyani una bellissima vedova costretta a prostituirsi dalla
matrona della casa, Madhumati, attraverso il suo servo eunuco
Gulabi. L’arrivo in città del giovane Narayan,
appena laureato in legge e devoto del Mahatma Gandhi e dei
suoi insegnamenti volti verso un processo di emancipazione
dal giogo inglese e modernizzazione della cultura indiana,
e la storia d’amore accennata con la bella Kalyani,
provocherà cambiamenti radicali con effetti drammatici.
Modernità contro tradizionalismo, mutazione contro
staticità, ragione contro religione. Questi i perni
sui quali è imbastita una pellicola raccontata attraverso
un ritmo lento come lo scorrere delle acque dal sacro fiume
Gange, colorata dei sapori e degli umori dell’antica
tradizione indiana, vestita di un modernismo ideologico tipicamente
occidentale. Un film che affascina con la bellezza delle immagini
eleganti e ricercate e commuove con la forza degli elementi
che compongo la sua struttura narrativa. [fabio
melandri]