L’idea
di Wall-E è nata nel 1994
ad un ormai celebre pranzo che comprendeva i pionieri della
Pixar Andrew Stanton, John Lasseter, Pete Docter e il compianto
genio della narrazione Joe Ranft. Mentre il loro primo lungometraggio,
Toy Story, si trovava in produzione,
il gruppo ha capito all’improvviso che c’era la
possibilità di realizzare un altro film. A quell’incontro
determinante, vennero discusse per la prima volta le idee
per A Bug’s Life, Monsters
& Co. e Alla ricerca di Nemo.
“Una delle cose che uscirono fuori fu l’idea di
un piccolo robot abbandonato sulla Terra”, sostiene
Stanton. “Non c’era una storia, era una sorta
di piccolo personaggio alla Robinson Crusoe con cui ci ponevamo
la domanda di cosa succederebbe se il genere umano abbandonasse
la Terra e qualcuno dimenticasse di spegnere l’ultimo
robot, senza che lui sapesse di poter smettere di compiere
le azioni per cui è stato programmato”.
Anni dopo, l’idea ha preso forma. “Ho iniziato
a pensare a lui mentre svolgeva questa funzione ogni giorno,
compattando la spazzatura rimasta sulla Terra”, ricorda
Stanton. “E mi sono posto una domanda: cosa succederebbe
se la cosa più umana rimasta nell’universo fosse
una macchina? Questa è stata la scintilla che ha fatto
partire tutto. E’ stato un viaggio decisamente lungo”.
Wall-E, ultima creatura della factory Pixar inizia in una
terra desolata, arida, coperta di sabbia e rifiuti. Qui Wall-E
l’ultimo robot rimasto sulla terra passa il suo tempo
a compattare rifiuti, utilizzandoli come immensi mattoncini
Lego per costruire palazzi, edifici e grattacieli. Ma è
anche un minuzioso collezionista di chincaglierie che cataloga
in maniera assai precisa all’interno di un piccolo hangar
che chiama casa, alloggio che divide insieme alla sua unica
compagnia, un piccolo scarafaggio. Fino a quando sulla terra
non arriva Eve, una sonda spaziale incaricata di rilevare
fattori di vita possibile sulla terra. Per Wall-E sarà
l’inizio di un nuovo viaggio in galassie lontane ed
all’interno di emozioni e sensazioni che poco hanno
a che fare con chip e circuiti integrati e molto con cuore,
emozione, amore.
Il regista Stanton, a cui evidentemente piacciono gli ambienti
estremi, dopo averci trasportato nelle profondità marine
di Alla ricerca di Nemo, ora
ci teletrasporta nello spazio , spiega di “essere rimasto
affascinato dalla solitudine che questa situazione evocava
e l’immediata empatia che si prova per questo personaggio.
Noi passiamo la maggior parte del tempo nei film cercando
di rendere piacevoli i nostri protagonisti, in modo che il
pubblico voglia seguirli e fare il tifo per loro. Ho iniziato
a pensare dove sarei potuto arrivare con un personaggio del
genere e non mi ci è voluto molto per capire che il
contrario della solitudine è l’amore o il fatto
di trovarsi con qualcuno. Io sono rimasto immediatamente conquistato
e sedotto dall’idea di una macchina che si innamora
di un’altra macchina, soprattutto se sullo sfondo c’è
un universo che non capisce più cosa significhi vivere.
Questo mi sembrava molto poetico. Ho amato l’idea di
un’umanità che ottiene una seconda possibilità
grazie a questo piccoletto che si innamora. Io, nonostante
sembri un cinico, sono un inguaribile romantico. Questo film
mi forniva la possibilità di indulgere nel mio lato
romantico un po’ di più di quanto faccia normalmente
in pubblico”.
L’umanizzazione dei robot, la loro espressività
affidata a particolari, dettagli umani senza però travisare
l’origine meccanica dei protagonisti, è l’elemento
forte su cui punta il lungometraggio, scandito da divertenti
gag e siparietti comici che servono a mantenere sempre leggero
il climax del film.
Ispirato a pellicole come 2001 –
Odissea nello spazio, Guerre
stellari, Alien, Blade
Runner, Wall-E è
un mix di generi. E’ una storia d’amore, un film
di fantascienza, una commedia e anche una commedia romantica”
dove il musical Hello Dolly occupa
un ruolo di assoluto privilegio. Stanton spiega di “aver
cercato gli elementi da musical giusti per la pellicola e
imbattersi in ‘Hello Dolly’ era la cosa migliore
che mi potesse capitare. La canzone ‘Put on Your Sunday
Clothes”, con il suo prologo ‘Out There’,
sembrava proprio adatta ai temi del film, anche se non quella
che ci si aspetterebbe in una pellicola come la nostra. E’
veramente una canzone molto ingenua, e in ‘Hello Dolly’
viene interpretata da due ragazzi che non sanno nulla della
vita. Loro vogliono andare nella grande città e non
tornare ‘fino a quando non hanno baciato una ragazza’.
C’è una gioia semplice in questo e per noi funzionava
benissimo. Quando ho trovato ‘It Only Takes a Moment’,
era come un dono dal cielo. Quella canzone è stata
fondamentale per me per poter mostrare l’interesse di
Wall•e in quello che è l’amore”.
La pellicola funziona molto bene nella prima parte che descrive
la solitudine di Wall-E sulla terra, mentre diviene più
prevedibile e convenzionale successivamente, ma risulta nel
complesso un film divertente, intelligente, molto godibile
(a tal proposito non perdete il cortometraggio che apre il
film, Presto, sul confronto/scontro
tra un prestigiatore ed il suo coniglio ribelle ed affamata,
un gioiellino) con un messaggio intelligentemente filo ecologico
e salutista. Un ottimo esempio di come si riesce a parlare
della quotidianità, delle sue problematiche senza essere
troppo dogmatici e pedanti.
[fabio melandri]