Rendere
sul grande schermo la vita di qualcuno è sempre impresa
intellettuale non di poco conto.
Si scegliere la via dell'omaggio al personaggio con il rischio
di scadere nella mitizzazione acritica, si può ridurre
i grandi personaggi a macchiette melodrammatiche (metodo Rai
Fiction), si può trasformare il personaggio in simbolo
di qualcos'altro e renderne la vita di conseguenza.
Ultimamente sono uscite almeno tre pellicole interessanti
che azzardano oltre, narrando la vita di tre personaggi ancora
viventi: Io non sono qui,
Il divo, W.
La prima sceglie la via dell'omaggio, la seconda, appresa
la lezione di Petri, quella del simbolismo, ma entrambe invece
di puntare a una riproposizione “esatta” degli
eventi preferiscono puntare, seppur con metodi diversi, su
una narrazione iperrealistica (qualche anno fa si sarebbe
detto “postmoderna”, ma non va più di moda,
dicono). Entrambi i film sono decisamente riusciti.
Oliver Stone, regista non nuovo al biopic di politici e musicisti,
proprio con le biografie ha toccato i punti più bassi
della sua altrimenti brillante carriera. Questo W.
non fa eccezione e conferma la curva discendente del regista
di Talk Radio e Assassini
nati.
Il film, che alterna le giornate precedenti allo scoppio della
guerra in Iraq a flashback del giovane George, è di
un'ingenuità disarmante. Tutti i più importanti
nomi che hanno governato sotto Bush in questi anni vengono
ridotti alla percezione popolare che si ha di loro: Bush fessacchiotto,
Rice maestrina, Cheney e Rumsfield manipolatori. I flashback
sulla vita pre-White House di Bush Jr sono una lunga carrellata
su un figlio che cerca di farsi notare dal padre riscattando
una giovinezza da pecora nera della famiglia (“Who do
you think you are... a Kennedy? You're a Bush. Act like one”,
lo rimprovera il padre), ma non convincono.
La satira c'è, di tanto in tanto, giusto a ricordarci
che è un film di Stone, ma è grossolana e didascalica
dove vorrebbe invece essere sottile: “Forse stiamo sbagliando
strada” dice Bush dopo essersi smarrito col suo staff,
nella tenuta in campagna mentre discutevano di piani per il
dopo-Saddam.
Una biografia innocua, scialba e pure un po' noiosetta, dunque,
che non fa che accreditare l'immagine che i detrattori del
presidente hanno già di lui e che giusto allo staff
che cura l'immagine del presidente uscente poteva infastidire
(è il loro lavoro, del resto). Ci si chiede se hanno
ragion d'essere tutti gli ostacoli che si sono frapposti alla
sua uscita italiana. [davide
luppi]