Anita,
Teresa e Valentina non si sono mai incontrate. Hanno vissuto
nell’Italia degli anni sessanta e settanta, in età
diverse e in città lontane. Ma le loro storie vere,
riportate in diari privati, sono in un’ideale continuità,
testimonianza di lotte famigliari e politiche,
personali e collettive, per affermare autonomia, identità
e diritti in un Paese patriarcale.
Nel 1964, Anita è un’adolescente, ragazza brava
di una famiglia bene. È timida e riflessiva. Spesso
si chiude nella stanza notturna e confessa al suo diario tutto
il suo senso di inadeguatezza e fragilità. “Ci
ha invitati la famiglia di sotto: questa sera devo andare
per la prima volta a ballare! Ho una fifa maledetta, mal di
stomaco eccetera. Quanti anni ho?? Quasi diciassette!! …
e invece sono stata coraggiosissima!”. Mentre fuori
dall’appartamento borghese della Milano bene, i suoi
coetanei iniziano a fare esperienza di autonomia e rivolta,
lei si chiude e fa i conti con i dettami di una cultura borghese,
autoritaria e moralista. Anita vorrebbe scoprire l’amore
e il sesso, ma l’educazione che le hanno impartito la
blocca inibendole una piena e consapevole esperienza del suo
corpo e della sua vita.
Teresa invece l’amore e il sesso li ha già scoperti,
e a soli vent’anni è rimasta incinta. Cosa fare?
Come gestire una gravidanza indesiderata in una cultura meridionale
quale quella della sua famiglia? “Per un'altra donna
questo momento poteva essere di grande felicità. Ma
non per me. Per me è la tragedia. Per me è la
fine. Penso solo a mio padre, a mia madre, e che sarebbe meglio
morire”. Teresa decide di abortire, e così il
diritto per cui si stava battendo insieme alle compagne del
collettivo non è più uno slogan ma diventa parte
della sua vita, visto che l’aborto nel ’76 è
illegale. Lascia il suo paese nel Sud e va a Roma: maestosa,
straniante e ora nemica, sfila nelle sue strade rumorose e
nei palazzi fitti. Teresa farà esperienza di un aborto
clandestino, consumato in una stanza anonima, su di un lettino
gelido, da un ginecologo sconosciuto. Riporterà sulle
pagine del diario i sentimenti e le riflessioni di una pratica
che da lì a poco diventerà un diritto, per lei
non più astratto.
Valentina a Roma c’è nata, ci vive e opera da
militante femminista, attiva nei circoli e collettivi, ben
nota al “Governo Vecchio”. Vive i suoi trent’anni
intensamente, mettendo sempre in relazione il “personale
con il politico”, cercando di trovare un equilibrio
possibile tra le muse del separatismo e una piena e condivisa
storia d’amore con uomo.
Una sera è con il suo Francesco, finalmente intimi,
ma una telefonata la distoglie: un commando di compagne ha
gambizzato un ginecologo. Deve correre, sperando di trovare
al ritorno la sua storia d’amore ad aspettarla.
Ma Valentina è consapevole che questo grande periodo
conflittuale di lotte e passioni. politica e sesso, sta finendo
perché, come scrive sul suo diario: “Siamo sconfitti,
uomini e donne, dopo il '77 e penso che i veri effetti saranno
lenti a insediarsi nelle nostre coscienze”.
Queste tre donne non si conoscono, ma la loro testimonianza
ha una ugual tensione e si muove, inconsapevole, in un’unica
direzione: un sommovimento generazionale che ha preso le singole
e private concezioni della vita e del mondo e le ha fuse in
una visione collettiva e pubblica. I 20 anni che hanno cambiato
la vita di ognuno di noi.
Vogliamo anche le rose è il terzo documentario di Alina
Marazzi dedicato a storie e identità femminili. Con
Un’ora Sola ti vorrei, l’autrice ricostruisce
la figura di una donna, sua madre, che perse quando era bambina.
Per Sempre indaga le ragioni che spingono alcune donne a fare
una scelta di vita definitiva all’interno di comunità
monastiche. Con Vogliamo anche le rose lo sguardo di Alina
Marazzi si veste di un senso di compartecipazione alle vicende
collettive delle donne e alle loro battaglie.
|
|
Dichiarazioni
della regista |
|
Il
film immagina gli eventi narrati nei diari ricorrendo
a materiali di repertorio dell’epoca, accostandoli,
forzandoli ed esaltandoli in una libera interpretazione
che vuole andare al di là della ricostruzione
storica per cogliere il più possibile tutta la
verità emotiva e esistenziale di cui la storia
è fatta.
Fotografie, fotoromanzi, filmini di famiglia, inchieste
e dibattiti televisivi, film
indipendenti e sperimentali, riprese militanti e private,
pubblicità, musiche e animazioni d’epoca
e originali, oltre ai tre diari privati, sono la stratificazione
visiva e sonora su cui riscrivere una storia del passato
recente alla luce di un futuro incerto.
Il racconto si snoda su due linee narrative che si intersecano
continuamente tra loro e che costituiscono i poli di
una dialettica tra la sfera pubblica e quella privata.
Il momento pubblico tende a rappresentare l’evoluzione
dei modelli culturali, sociali e politici dominanti,
trasformati dalle lotte femministe e civili in materia
di aborto, divorzio, contraccezione e violenza sessuale.
A definirlo sono i repertori d’archivio pubblici
e privati.
Il momento privato è garantito da racconti in
prima persona, desunti dai diari inediti di tre donne
provenienti da ambienti e culture diverse. Le loro storie,
intime e personali, sono rappresentative delle esperienze,
sofferenze, lotte e cambiamenti che i singoli hanno
tentato, supportati dall’umore sociale del tempo
e si modellano come esemplari del cambiamento in atto.
Sfera pubblica e privata, quindi, dialogano senza soluzione
di continuità, fungendo la prima come cornice
storico-sociale, la seconda come ingrandimento di un
particolare accolto nell’universale.
Ho voluto ripercorrere la storia delle donne tra la
metà degli anni 60 e la fine degli anni 70 per
metterla in relazione, a partire dal ‘caso italiano’,
con il nostro presente globale, conflittuale e contraddittorio.
|
|
|
Con l’intenzione
di offrire uno spunto di riflessione su temi ancora oggi parzialmente
irrisolti o oppure addirittura platealmente rimessi in discussione.
Dove sono approdate oggi queste donne? Che tipo di coscienza hanno
di sé, quali sono ancora i traguardi da raggiungere, i desideri
da esaudire? Come vivono le loro relazioni affettive, l’amore,
la maternità?
Di quanto esigeva il celebre slogan ‘Vogliamo il pane, ma anche
le rose’, con cui nel 1912 le operaie tessili marcarono con
originalità la loro partecipazione a uno sciopero di settimane
nel Massachusetts, forse il necessario, il pane, è oggi dato
per acquisito. Ma le donne si sono battute per un mondo che desse
spazio anche alla poesia delle rose. Ed è una battaglia più
che mai attuale.
|
Da dove erano sbucate, all'improvviso e tante, quelle giovani donne
così riconoscibili nei segni, nei simboli, nelle parole, negli
oggetti e nei vestiti che, negli anni Settanta riempirono le piazze
e le strade delle città italiane? Venivano dalla rivolta delle
"bamboline", dalla lotta sorda e nascosta nell'ambito familiare,
per conquistare il diritto ad uscire di casa, a frequentare amici e
sale da ballo, a sposarsi quando volevano loro e con chi volevano, ad
avere un lavoro indipendente, a poter frequentare le scuole per accedere
ai vari gradi dell'istruzione. Venivano di un percorso formativo nel
quale emancipazione e liberazione si mescolavano ponendo, assieme e
contemporaneamente, il tema dell'eguaglianza con l'uomo e quello della
differenza della donna. La rivolta delle donne negli anni Settanta era
il risultato di una sedimentazione di rabbie, inquietudini, malesseri
esistenziali, vissuti nella solitudine della famiglia, che avevano caratterizzato
la gioventù nel decennio precedente, evidenziando un protagonismo
giovanile di genere femminile che fondava quella che si può definire
la storia doppia di una generazione, quella degli uomini e quella delle
donne.
Per quelle giovani donne, in procinto di sentirsi femministe, il '68
non fu l'evento iniziale, ma un tempo di accelerazione, uno snodo che
permise loro di esprimere la propria soggettività e di investire
con la forza di un pensiero critico e vitale vecchie contraddizioni
legate alla lunga storia delle relazioni tra uomini e donne.
La pratica intrapresa dalle giovani donne in rivolta portò alla
costituzione di gruppi di autocoscienza e collettivi. Partirono dalla
riflessione sulla propria esperienza, per socializzarla, per darsi una
coscienza collettiva di genere e scesero in campo contro costumi, usanze
e abitudini vecchie e opprimenti, svelarono i limiti di una sessualità
pensata e praticata solo al maschile, condussero una battaglia per i
diritti civili: in primo luogo la difesa delle legge sul divorzio nel
1974, che il referendum voluto dai cattolici e dai conservatori non
riuscì ad abolire; poi una lunga, faticosa lotta contro l'aborto
clandestino e per una maternità consapevole e scelta dalla donna,
che portò all'approvazione di una legge che legalizzò
l'aborto nel 1978.
(diego giachetti – storico) |