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The
Village
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id. |
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Ogni organizzazione,
dalla più piccola (famiglia) alla più estesa (uno stato),
ha bisogno di una struttura con regole, leggi, tabù per codificare
il comportamento dei suoi adepti e preservare la sopravvivenza del
gruppo (a tal proposito si consiglia la lettura sull'argomento di
Riti e simboli del potere di David I.
Kertzer) Il film, come tutti i precedenti di Shyamalan, è ben costruito, riesce a mantenere la suspense, ed è interpretato da attori in buona forma (tra questi, il redivivo William Hurt, che credo stia viaggiando alla media di un film ogni dieci anni!). Ma il merito principale del film non mi sembra risieda, come ho sentito da più parti, nel "colpo di scena finale" (che è una sorpresa solo fino ad un certo punto). La cosa più interessante mi sembra la riflessione sulle dinamiche di una piccola comunità isolata, ed in qualche modo costretta ad esserlo, un po' come succedeva nei film di Hawks (senza voler fare paragoni blasfemi, s'intende!); comunità in cui si esasperano i contrasti, le problematiche interpersonali, le piccole e grandi ipocrisie della socialità. In tempi di Grandi Fratelli, perlomeno questo "Cugino" cinematografico ha il pregio della buona fattura! Inoltre penso che evidenzi un paradosso "metalinguistico": se si vuole cercare la reazione autentica di un piccolo gruppo di persone, l'idea che un gruppo ripreso "dal vero" sia il più rappresentativo può essere illusoria, visto che c'è la consapevolezza di essere ripresi che falsa tutto. Meglio forse (e sottolineo forse) affidarsi a qualcuno che ha studiato attentamente il comportamento umano e cerca di riprodurlo con onestà intellettuale. (oddìo, l'ideale sarebbe un Truman Show collettivo, ma per fortuna è ancora illegale!). Nel complesso, continuo a pensare che il miglior film di Shyamalan resti Il sesto senso, ed il peggiore Unbreakeable (che però, per i fan della "sorpresa finale", ha un colpo di scena migliore di questo): siamo nel mezzo! [matteo lenzi] |