Prima
o poi doveva succedere. Anche un mito come Makhmalbaf doveva
cadere. E l’occasione è arrivata con il suo ultimo
film, Viaggio in India, in originale,
"Screamof the ants", letteralmente “L’urlo
delle formiche” (che fa riferimento all’impossibilità
della protagonista di camminare sul suolo indiano senza causare
la morte delle formiche). La traduzione italiana cerca di
riecheggiare il titolo forse più famoso del “maestro”
iraniano, Viaggio a Kandahar,
che qualche anno fa sbancò i botteghini di tutto il
mondo per la concomitanza dei tragici eventi di quell’area
geografica e per la risonanza internazionale della questione
talebana. Ora non solo non ci sono tracce del tocco del suo
autore di ma addirittura in questo Viaggio
in India si stenta a riconoscere proprio la mano di
Makhmalbaf. Se si pensa anche ad altri suo lavori, forse meno
famosi ma decisamente più apprezzabili, come Pane
e fiore e Il silenzio
davvero non si riesce a capire come possa essere la stessa
persona ad aver partorito questa ultima fatica.
Il viaggio del titolo è quello di un uomo e una donna
iraniani alla ricerca dell’”uomo perfetto”.
Lei profondamente religiosa, lui marxista convinto. Inevitabile
lo scontro. Ora il problema del film è proprio la verbosità.
I due, marito e moglie, non fanno altro che parlare ma interloquiscono
con discorsi faticosamente plausibili, a tratti quasi disarticolati,
appesantiti da lunghi primi piani senza interruzioni. Davvero
fastidiose le continue prolusioni filosofiche al limite del
sociologico dei coniugi immersi in un mondo tradizionalmente
spiritualista come l’India, sempre fotografata però
secondo i clichés insopportabili della new age da provinciali.
Makhmalbaf rivela di aver sognato da 15 anni di fare un film
in India, a patto però di poterlo girare interamente
in una stanza. Ecco una certa claustrofobia si respira nonostante
gli ampi spazi della penisola indiana (e il “maestro”
non si risparmia neppure la scena nella stanza con veli e
candele) e sembra quasi di essere rinchiusi in uno spazio
angusto, mentale forse, di sicuro poco coerente.
Makhmalbaf sarà riuscito pure a coronare il suo sogno
ma con questo film non centra il bersaglio e commette un imperdonabile
passo falso nella sua aulica carriera di regista “militante”.
Che Makhmalbaf sia stato sopravvalutato? Può essere
ma aspettiamo ad emettere un giudizio in tal senso, diamogli
un’altra possibilità. [marco
catola]