Ad Hong
Kong una famiglia viene sterminata per un regolamento di conti
delle Triadi. Costello, padre di una delle vittime, arriva
dalla Francia per vendicare la figlia. Ora è un chef
ma in passato è stato un killer professionista. Deve
fare in fretta, però, la vecchiaia gli sta portando
via la memoria e la vendetta deve avere luogo prima che l'oblio
sopraggiunga. Assolderà quindi una squadra di tre abilissimi
sicari per poter muoversi più rapidamente nel paese
estraneo.
C'è una poesia nelle immagini di Johnnie To che è
fatta di movimento. Lo sfondo delle scene d'azione di Vendicami
si muove sempre più rapidamente dei personaggi, dando
vita a un contrappunto visivo che cattura e ipnotizza. L'aplomb
con cui i tre killer (che ormai non agiscono più per
denaro ma per obbedienza alla causa) vanno incontro al loro
destino è avvolto da un turbine di cartacce spostate
dal vento, l'effetto è straniante, cupo, quasi apocalittico.
Il regista rinuncia al “controllo totale” sull'immagine
e lascia che sia il caso a dirigere almeno parte della scena.
La solitudine contro cui i personaggi sembrano lottare vanamente
ricorda un po' certi western, ma lì il territorio desolato
era frontiera da esplorare e civilizzare, qui invece siamo
al civilizzato-abbandonato. È il dopo, non il prima.
Il rapporto con le immagini sembra l'unico modo per rimanere
ancorati alla realtà: solo attraverso le foto il protagonista
può rimanere legato a un passato che la sua labile
memoria gli rende sfuggente. Dobbiamo aspettare il finale
perchè To ci lasci uno spiraglio di speranza: il protagonista
ormai privo di memoria vive interamente nel presente e solo
questo riesce a portargli una sorta di serenità.
[davide luppi]
Parola
a Johnnie To
Cosa l’ha affascinata
di Johnny Hallyday?
I miei produttori mi hanno dato dei DVD di alcuni suoi film
e concerti. Ho notato subito che aveva qualcosa di davvero
mascolino. Dai concerti avevo capito che è molto famoso,
ma non immaginavo fosse un vero idolo. È stato solo
quando l’ho incontrato che ho capito che avremmo potuto
lavorare insieme. Dovevo vederlo di persona per coglierne
la magia unica. Il suo stile, la sua figura, il suo volto,
i suoi incredibili occhi… sono segni di un passato molto
intenso. È subito scattato qualcosa tra noi, nonostante
la barriera posta della lingua. Ci siamo piaciuti subito a
livello umano. Avvertivo una comprensione reciproca, una certa
fiducia tra noi. È stato allora che ho capito che avremmo
potuto fare un film insieme.
Non
è stato complicato isolarlo a Hong Kong per tre mesi?
Temevo che non si adattasse al nostro modo di lavorare. Siamo
distanti anni luce dal sistema americano con trailer privati
e sciami di assistenti… Ma lui si è subito integrato.
Sembrava che ci incoraggiasse a continuare a lavorare come
abbiamo sempre fatto. Non voleva che cambiassimo le nostre
abitudini. Anzi, voleva adattarsi lui a queste. Ha accettato
tutto senza neppure il minimo segno di protesta: la pioggia
finta sotto cui doveva girare sera dopo sera, le strade sporche…
ovviamente, l’intera troupe l’ha subito adottato,
rispettato, è piaciuto a tutti. Uno così famoso
che sa essere talmente semplice, talmente alla mano: è
insperabile! Abbiamo lavorato bene insieme.
Cosa
pensa di lui come attore?
Quando è arrivato era molto concentrato, pronto a lavorare.
Ha fatto poche domande. Voleva solo sapere se la sua idea
di scena e la mia coincidevano. È molto preciso nella
recitazione, nei gesti. Lasciava trapelare la sua sincerità.
Siamo portati a credere in lui. È reale. E non ha fatto
altro che dedicarsi al film, il che è meraviglioso
se pensi che a Hong Kong, gli attori girano generalmente due
o tre film contemporaneamente. Ci ha veramente dato tutto
se stesso e tutto il suo tempo.
È
stato un grande cambiamento per lei girare soprattutto in
inglese?
Non per me, no. Ma lo è stato per gli attori di Hong
Kong! Il vero cambiamento per me è stato girare il
film con una sceneggiatura scritta. Di solito ho un copione
mentale e lo sceneggiatore scrive mentre giriamo. Questa volta
i produttori hanno voluto che trama e dialoghi fossero già
scritti. Devo ammettere che non è stato male. Mi ha
permesso di prendere in considerazione le idee di chi legge,
e quindi di arricchire la sceneggiatura. Ma girare un film
è sempre la stessa storia, con o senza sceneggiatura
scritta. All’inizio sei tu il capo, il filo conduttore.
Dopo qualche giorno è il film stesso che prende vita
e comincia a imporsi, a decidere da solo. Quindi ci sono parti
della sceneggiatura che evolvono durante le riprese. Ma a
parte Johnny Hallyday, nessun altro attore l’ha letta!
Perché
ha insistito affinché nessuno conoscesse la storia?
Per fare in modo che gli attori fossero naturali e spontanei.
Per non dargli il tempo di creare qualcosa. In questo modo
la situazione gli viene presentata direttamente e loro devo
recitare di conseguenza. L’unica persona con cui ho
parlato della storia è stato Anthony Wong. Nel film
fa la parte di un killer esperto, che mantiene una certa distanza.
Un samurai errante che non mette mai radici. Sa che con Big
Mama, Costello è al sicuro. Forse gli sarebbe piaciuto
finire come Costello…
Ci
parli di Costello
È un uomo che ha vissuto intensamente e forse anche
sofferto intensamente. C’è una specie di dolore
in lui. I suo occhi raccontano storie che la sua mente ha
dimenticato. È questo che mi interessa. Ogni cosa che
ha vissuto è dimenticata. I suoi occhi sono l’unica
traccia rimasta. Johnny ha dato a Costello molta umanità,
lo ha reso davvero commovente.
Sylvie
Testud è stata sul set per qualche giorno…
Ha acconsentito a venire a girare una piccola parte, ma essenziale
perché è quella che dà inizio alla storia.
Che attrice! Ha molta esperienza professionale. Sa subito
come reciterà una certa scena. Il suo istinto è
sempre azzeccato. Ha sfruttato ogni aspetto del suo ruolo,
per quanto breve. L’ha basato sul fatto che, prima di
tutto, è una madre. Cucina come una madre, protegge
i suoi bambini come una madre. E quando l’ho vista sul
mio monitor nella scena con Johnny Hallyday, non capivo cosa
stesse dicendo, in francese, ma riuscivo a leggere le emozioni
sul suo viso.
A lei piace mangiare e mangiare
è una parte importante dei suoi film, soprattutto in
questo
Riprendere un pasto è il modo più semplice e
concreto di mettere in risalto i legami tra le persone. Mangiare
è una forma di scambio, un’azione semplice, ma
fondamentale. Mangiare è segno di vita…