“Il
progetto è nato durante la prima del film a Roma di
Bowling A Colombine di Michael
Moore e dell’amore di fare cinema libero e incasinato
del regista americano, di far convivere insieme materiali
tra loro eterogenei.” Così Felice Farina
presenta il docufilm di Enrico Caria, giornalista ed autore
satirico napoletano, emigrato insieme ad altri fuoriusciti
dell’intellighenzia napoletana negli anni ’80
ai tempi della prima guerra di camorra e del terremoto, tornato
nella sua città sulle tracce del Rinascimento napoletano.
Una rinascita che partendo dal centro con la cura Sassolino,
si è fermata ai confini della periferia più
estrema, teatro delle guerre di camorra: Secondigliano, Melito,
Scampia. Luoghi dove lo Stato latita e gli eroi sono le persone
perbene che continuano a viverci, insieme a preti coraggiosi,
scrittori costretti a vivere sottoscorta, maestre di strada
il cui obiettivo è portare di una classe di 18 elementi,
almeno un paio al termini degli studi della scuola dell’obbligo.
Caria, con lo spirito tipicamente napoletano di chi pur vivendo
in situazioni difficili cerca sempre il alto leggero della
vita, costruisce un patchwork di materiali tra loro diversi
che vanno dalle riprese in super8 effettuate in occasione
del primo scudetto napoletano a quelle ad alta risoluzione
dei morti sparati per strada, dai videoclip dei rapper di
periferia alle animazioni di Luca Ralli, ispirate ai disegni
realizzati dallo stesso regista e dai ragazzi di strada. Il
tutto ottimizzato dal direttore della fotografia Giuseppe
Schifani.
“La mia intenzione era evidenziare la presenza di
persone per bene che si battono contro una situazione presente.
Volevo realizzare un lavoro di ricerca, spostando il punto
di vista sull’aspetto culturale dell’universo
Napoli. Non è vero che a Napoli non c’è
lavoro. Il lavoro c’è, ma è nero.”
Questo l’obiettivo del regista Caria. Il risultato è
un concentrato di argomenti trattati con troppa superficialità
per poter smuovere le coscienze, e le storie raccontate di
povertà, disperazione ma anche orgoglio e dignità
non si allontanano troppo da quelle già viste tante
volte in televisione. Il rischio di cartoline napoletane stereotipate
è sin troppo vivo nelle immagini raccolte dal regista,
tale che neanche il valore morale dell’operazione può
in qualche modo giustificare. [fabio
melandri]