Le premesse
per un film da ricordare c’erano tutte. Un titolo accattivante:
L’uomo che fissa le capre.
Uno slogan irresistibile: No capre, no gloria. Un cast d’eccezione:
George Clooney, Jeff Bridges, Ewan McGregor, Kevin Spacey.
Ma soprattutto una storia incredibile, molto più vera
di quanto non ci si possa aspettare o credere: un esercito
di guerrieri New Age viene finanziato dal governo americano
per mettere a punto nuovi metodi di combattimento che sfruttano
la forza della mente, un tentativo – tenuto nascosto
– compiuto dall‘esercito americano di sfruttare
la percezione extrasensoriale e la telepatia a scopi bellici.
Un esercito di monaci combattenti, guerrieri Jedi come vengono
definiti nel libro che sta alla base di questa incredibile
storia (L’uomo che fissa le capre di Jon Ronson, Einaudi
Stile Libero), capaci di prevedere il futuro, leggere la mente,
diventare invisibili e di praticare il teletrasporto. Si trattava
di un gruppo di militari, tra cui alcuni ufficiali, che desideravano
disperatamente apprendere le capacità paranormali.-
racconta Ronson, - Pensavano veramente di poter riuscire ad
attraversare i muri e diventare invisibili. Si allenavano
a salutare il nemico con ‘occhi luccicanti‘ ma
alla fine, a Fort Bragg, quando la situazione era degenerata,
erano addirittura arrivati a tentare di uccidere le capre
semplicemente fissandole.
Ed allora cosa non funziona? Il punto debole del film risiede
innanzitutto nella sceneggiatura. Peter Straughan chiamato
a mettere sotto forma di narrazione gli incredibili eventi
narrati nel libro, forse anche distratto dalle quattro sceneggiature
in cui era impegnato al momento della lavorazione di cui una
spera anche di dirigere, elabora una storia confusa e confusionaria,
in cui i personaggi entrano ed escono con la stesa frequenza
e casualità della hall di un Grand Hotel sulla riviera
adriatica in pieno agosto, dove gli snodi narrativi sono affidati
alla solita onnipresente voce-off invece che ai personaggi
con le loro azioni.
Il risultato è un film scombinato, a tratti noioso
con personaggi freddi e fastidiosi (Ewan McGregor) altri simpaticamente
sopra le righe ma che sa di già visto (George Clooney
in Fratello dove sei?), altri
ancora semplicemente inconsistenti (Kevin Spacey) o copie
sbiadite di tempi che furono (Jeff Bridges è un Lebowsky
senza vita, senza i Coen). Non aiuta il tutto una regia invisibile
da parte del debuttante Grant Heslov, socio di Clooney nella
sua casa di produzione Smoke House Pictures, che si limita
a mettere in scena senza sposare uno stile, un'estetica, una
visione capace di rivitalizzare, dale un senso a quanto sullo
schermo appare. Passato in sordina all’ultima Mostra
del Cinema di Venezia, ci rendiamo oggi conto del perché.
[fabio melandri]