"Una
cosa chiamata felicità
è un film sulla ricerca dell’amore e sul mistero
dei cambiamenti che l’amore provoca in noi."
Così il regista ceco Bohdan Slama, candidato all’Oscar
nel 2002 con Wild bees per il
miglior film straniero, presenta il suo Una
cosa chiamata felicità, vincitore del Premio
Miglior Film al 53° Festival di San Sebastian.
La storia è ambientata in un paesino della Repubblica
Ceca e narra delle esistenze ordinarie e drammatiche di tre
amici e dei loro amori.
Monika è innamorata ma il fidanzato parte per l’America
in cerca di una vita migliore. Tonik ama Monika sin da quando
erano piccoli ma conosce i suoi sentimenti e non si dichiara,
accontentandosi di starle accanto. Dasha ha due figli piccoli
e una relazione con un uomo sposato che non si decide a lasciare
la moglie. La loro amicizia difficile e appassionata entra
in crisi con il collasso psicologico di Dasha che viene ricoverata
in una clinica psichiatrica. Monika è disposta a rinunciare
al suo sogno di seguire l’amore in America pur di non
abbandonare i due piccoli figli di Dasha e non farli finire
in un orfanotrofio. Così, per alcuni mesi, va a vivere
con Tonik e i bambini in campagna, nella fattoria della zia
che Tonik cerca, con sforzo; di mandare avanti. Si viene così
a creare una situazione idilliaca di famiglia fittizia, sogno
che crollerà quando Dasha esce dall’ospedale
e pretende di riavere i suoi figli.
Le storie di queste esistenze semplici e umili sono seguite
passo passo con discrezione, senza toni retorici o accenti
pietistici. Le tematiche sono amare: la campagna sempre più
povera che soccombe all’invasione delle industrie, la
generazione dei padri senza lavoro e alcolizzati, la durezza
della vita quotidiana che rende impossibile ai giovani di
sognare un futuro nella propria terra. Il paesaggio, reso
da un’ottima fotografia, contribuisce alla desolazione
del quadro descritto. Ma non c’è solo questo,
ci sono anche amori profondi e mai detti, amicizie vere che
comportano il sacrificio di sé per il bene dell’altro.
Tutti questi temi sono accennati, sfiorati come la macchina
da presa sfiora le esistenze dei protagonisti, personaggi
schivi, chiusi ma generosi, che non vengono esibiti per sollecitare
emozioni nel pubblico ma semplicemente seguiti con rispetto,
con un occhio attento, discreto, pieno di umanità.
"Avevo in mente gli attori principali già
prima di aver scritto la sceneggiatura. Per me questo è
un film molto personale e lo è anche per gli attori
protagonisti. Volevamo fare un film su quello che stiamo vivendo.
Gli attori mi interessano come esseri umani che si immedesimano
completamente nei loro personaggi."
L’attenzione di Slama verso gli attori è centrale
e infatti la prova attoriale che ne risulta è molto
valida, trasuda l’impegno registico e contribuisce a
rendere un quadro realistico pieno di amore e speranza verso
un’umanità sofferente.
[luisa giannitrapani]