Dopo quattro anni dalla commedia a sfondo biblico Una
settimana da Dio, il regista Shadyac dà vita
a una sorta di sequel, senza l'interpretazione di Jim Carrey
che ne aveva decretato la fortuna nelle sale di tutto il mondo.
Al posto di Bruce, c'è il giornalista antagonista Evan;
al posto della creazione del mondo, abbiamo un altro episodio
della Genesi, il versetto 6-14 che riguarda Noè e la
sua arca; Morgan Freeman indossa nuovamente i panni di Dio.
Evan Baxter è un reporter di successo con una grande
presa sul pubblico. Ha carisma e suscita un'irresistibile
simpatia per ogni impresa che compie. Lascia il suo lavoro
per dedicarsi alla politica. Si candida e vince le elezioni.
Rappresentante dello stato della Virginia al Congresso a Washington
Evan si trasferisce con la sua famiglia ma dovrà decidere,
se mirare alla realizzazione dei suoi interessi, avere una
casa più grande, una macchina più potente, un
conto in banca più ricco, o mettersi al servizio della
comunità.
Il motto con cui ha conquistato il seggio in parlamento è
"Cambiare il mondo". Evan è un cinico idealista,
ha quasi cinquant'anni ma non sa cosa lo rende un uomo felice.
L'egoismo o l'altruismo. Salvare il pianeta o l'unità
della famiglia. Ma da dove si comincia a cambiare il mondo?
Evan se ne rende conto ben presto fin dal suo ingresso nel
nuovo ufficio. Gli viene offerto di firmare una legge federale
che autorizzi ogni privato cittadino a edificare dove e come
vuole, infischiandosene dell'ambiente. Più che un disegno
di legge, un olocausto. In cambio di una firma, a Evan si
aprirebbero le porte per la presidenza. Ma se non firmasse
gli si aprirebbero quelle del Paradiso. Le conseguenze di
questa legge si rivelano in tutta la loro portata quando Evan
viene chiamato da Dio a realizzare la sua volontà.
Costruire un'arca per salvare tutte le creature dell'universo
dalle acque. Dopo un'iniziale resistenza Evan porterà
a termine la sua missione.
Il più grande difetto per una commedia è non
far ridere. E "Un'impresa da Dio" ci riesce benissimo.
Troppo presi dagli argomenti spirituali e biblici, regista
e sceneggiatori (peraltro Shadyac e Oedererck avevano dimostrato
il loro onesto talento in Patch Adams,
Ace Ventura e Il
professore matto) sprecano tutto il potenziale comico
in una tirata moraleggiante dalle finalità alquanto
velleitarie. E ci si domanda se serviva scomodare, Dio, la
Genesi, Noè, l'Arca e la salvezza dell'umanità
per impedire l'attuazione di una legge ambientalista circoscritta
al solo territorio americano e non di interesse mondiale come
il trattato di Kyoto.
La regia, la sceneggiatura e la recitazione non superano lo
standard televisivo, mettendosi al servizio di una trama scontata
dal primo all'ultimo fotogramma. Non c'è una battuta
degna di questo nome e le poche intuizioni fisiche del protagonista
sono ingenue e irritanti. Dopo oltre un'ora su questo tenore,
improvvisamente il registro muta e si capisce dove gli autori
vogliano andare a parare. Un paio di sequenze che stonano
col resto del film ma che sono ispirate da una certa grazia
poetica e che inducono a una riflessione sincera e appassionata
sul rapporto tra l'uomo e il sacro. Purtroppo questi interrogativi
restano in superficie e si perdono nel giro di poche inquadrature
e avrebbero snaturato il clima infantile della storia. In
quest'opera sconclusionata si salvano gli attori di razza.
Morgan Freeman incarna un Dio saggio e paterno che sembra
uscito dai film di John Huston e Cecil B. De Mille, mentre
John Goodman riempie lo schermo con la sua contagiosa simpatia.
[matteo cafiero]