Prendete
un film di culto degli anni Settanta (The
Wicker Man di Robin Hardy),
trasferitelo ai nostri giorni su un’isoletta sperduta
del Maine, infilateci la faccia da fesso di Nicolas Cage,
la presunta sparizione di una bambina e una setta tutta al
femminile, aggiungete qualche spruzzatina di paganesimo da
quattro soldi, mescolate il tutto con un pizzico di azione
alla Steven Seagal e otterrete l’horror più insulso
di tutti i tempi.
Dispiace solo che alla regia ci sia Neil LaBute, interessante
regista che aveva esordito con una bomba al vetriolo come
Nella società degli uomini.
Che cosa lo avrà spinto a cimentarsi con un genere
come l’horror (e con un film come l’originale)
resta un mistero. La storia è la stessa a parte l’introduzione
del matriarcato al posto del patriarcato (con le dovute conseguenze
prima fra tutte la sostituzione del diavolo interpretato da
Christopher Lee con una dea del male interpretata da una ridicola
e poco luciferina Ellen Burstyn) e l’inevitabile aggiornamento
tecnologico (il cellulare che sull’isola non ha segnale).
La Bute sfuma completamente i temi religiosi, che non sembrano
interessargli, e si butta sulla suspense. Purtroppo per lui,
e per noi, la suspense in questo film non c’è
mai. Tutto si trascina lento e senza guizzi verso un finale
che non ha niente di orrorifico. Passando attraverso un’indagine
statica e poco intrigante. Non ci sono neppure scene ad effetto
che in certi casi possono almeno divertire. Siamo proprio
a quota zero. Zero inquietudine, zero paura, zero interesse.
Tralasciamo la scelta dell’attrice protagonista dalle
labbra a canotto, tale Kate Beahan, mai sentita, e stendiamo
un velo pietoso sull’ennesima pessima performance tutta
tic e faccette di Nicolas Cage (ci si chiede perché
continui a lavorare e chi ancora possa credere, se mai ci
sia stato qualcuno, che sia un attore). Un consiglio spassionato
a Neil LaBute: lascia perdere. Questo The
Wicker Man non è un horror. Semplicemente un
orrore.
[marco catola]