Lunga
è la strada che porta a Guantanamo! Parte da Timpton
in Inghilterra ed attraversa il Pakistan prima (Karachi) e
l’Afghanista poi (Kandahar, Kabul, Konduz). E come in
un immenso monopoli, le carte delle probabilità e degli
imprevisti si susseguono determinando il destino di Ruhel
(19 anni), Asif (19), Shafiq (23) e Monir (22), “i tre
di Timpton” come furono chiamati a conclusione della
vicenda… tre perché del quarto ragazzo, Monir,
gli amici persero ben presto le tracce per sempre…
Il 10 settembre del 2001 la madre di Asif Iqbal torna a casa
dopo un viaggio in Pakistan. Ha trovato una ragazza da dare
in sposa ad Asif.
Nove giorni dopo Asif parte in direzione del piccolo villaggio
nei pressi di Faisalabad nel Punjab dove vive la sua promessa
sposa, presto raggiunto dagli amici Ruhel Ahmed, Shafiq Rasul
e Monir Ali. I quattro si incontrano a Karachi. Dopo un paio
di giorni passati sulle spiagge e nelle sale giochi della
città visitano una moschea con Zahid, cugino pachistano
di Shafiq. Qui vengono a conoscenza di un progetto di aiuti
alle popolazioni del vicino Afghanistan e decidono un po’
per gioco, un po’ per curiosità di partire e
vedere con i propri occhi quanto viene loro raccontato.
Sotto
gli iniziali bombardamenti americani e l’avanzata dell’Alleanza
del Nord contro il regime talebano, i quattro si ritroveranno
inconsapevolmente ed ingenuamente prigionieri in un campo
di reclutamento talebano. Attaccati e fatti prigionieri dall’Alleanza
del Nord, vengono consegnati agli americani. Dopo un primo
sommario interrogato, gli viene rasata a zero la testa, fatte
indossare delle tute arancioni, incappucciati con cuffie alle
orecchie e occhiali da sole sugli occhi. Imbarcati su un cargo
militare destinato al campo di detenzione X-Ray, poi Camp
Delta nella baia di Guantanamo, sull’isola di Cuba.
Qui inizia un secondo intenso capitolo di questo dramma umano,
con la prigionia fatta di celle a cielo aperto sotto un sole
cocente, costrizioni fisiche e psicologiche continuate, pressioni
di ogni tipo e soprattutto isolamento assoluto dal mondo.
Un’isola che non c’è agli occhi del mondo
e dell’opinione pubblica che oggi chiede a gran voce
la sua chiusura.
Un intenso docu-drama quello realizzato dai registi Michael
Winterbotton per la parte fiction e Mat Whitecross per le
interviste ai veri protagonisti dell’odissea che puntellano
il racconto dando l’aurea di cinema verità. Una
storia raccontata attraverso il punto di vista dei tre ragazzi
accusati poi si scoprirà ingiustamente, di far parte
di Al Qaeda, con macchina da presa a mano, sempre in un movimento
instabile a simulare un corpo afflitto da pene inumane, ed
una prospettiva a livello terra, quello stesso che erano tenuti
a tenere i prigionieri, in ginocchio e sguardo rivolto verso
il basso. Una scelta stilistica che facilità l’identificazione
dello spettatore con i ragazzi protagonisti, emotivamente
coinvolgente che ha permesso ai due autori di vincere a Berlino
l’Orso d’Argento per la Miglior Regia.
[fabio melandri]