The Ring 2
id.
Regia
Hideo Nakata
Sceneggiatura
Ehren Kruger
Fotografia
Gabriel Beristain
Montaggio
Michael N. Knue,
Mark Vargo
Musica
Hans Zimmer
Interpreti
Naomi Watts, Simon Baker, David Dorfman, Emily VanCamp, Sissy Spacek
Anno
2004
Durata
111'
Nazione
USA
Genere
horror
Distribuzione
UIP

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. E’ quanto accade al regista giapponese Hideo Nakata, padre della saga The Ring ed autore dei primi due capitoli giapponesi (Ringu, Ringu 2).
Dopo il successo, inspiegabile per chi scrive del primo capitolo per la regia dell’insipido Gore Verbinski, il sequel era nell’aria e puntualmente giunge a noi. Se The Ring era l’effettivo remake di Ringu, questo secondo capitolo si stacca in maniera prepotente dall'omonimo giapponese, diventando un oggetto a se stante, indipendente. Anche il legame con il primo film, la cassetta maledetta la cui visione provocava la morte dello spettatore dopo una settimana, è flebile e presente nel solo efficacissimo prologo. Per il resto The Ring 2 riprende i personaggi sopravvissuti del primo film, la giornalista Rachel Keller (Naomi Watts) ed il figlio Aidan (David Dorfman) che trasferiti ad Astoria (Oregon) tentano di dimenticare il passato e ricostruirsi una vita. Facile immaginare che così non sarà. Infatti lo spirito vendicativo di Samara, abbandonata la vhs maledetta si trasferirà nel corpo del giovane Aidan costringendo la nostra Naomi a combattere contro la propria famiglia. Il finale prevedibile e protratto oltremisura è il degno risultato di un film che pesca a piene mani nella tradizione dei film di “possessione” da L’Esorcista a Nightmare Nuovo Incubo, in cui il mostro si impadronisce dei giovani corpi dei più deboli per affermare il loro diritto negato alla vita e sopravvivenza.
L’apporto alla regia del regista giapponese assicura una discreta costruzione di suspence ed un paio di colpi da “salti sulla sedia” ben assestati grazie soprattutto ad una tensione costruita lungo l’arco dell’intero film attraverso una fotografia venata di toni plumbei e la presenza di elementi ricorrenti nel cinema di Nakata: ragazze madri, orfani, spiriti vendicativi e l’acqua (Dark Water) che è simbolo di vita e morte. L’acqua è l’elemento di raccordo tra mondo dei vivi e quello dei morti, è il segnale fisico della presenza dello spirito di Samara, è fonte di vita e nello stesso tempo rappresenta la principale causa di morte; è la principale fonte del terrore che scorre visivamente tra i fotogrammi della pellicola. Pregevole dal punto di vista visivo, il film purtroppo fa “acqua” da quello narrativo con digressioni che rendono difficile e complessa la comprensione della storia, personaggi secondari superficiali e prettamente funzionali all’azione (se in alcuni casi è un pregio in altri, come in questo, è sintomo di presunta svogliatezza e superficialità di scrittura) con un finale che fatica a chiudersi in maniera convincente e definitivo. Aspettiamoci il terzo inevitabile capitolo.
[fabio melandri]