I Solomon
hanno perso tutto nella grande metropoli e ora ci riprovano
da una fattoria abbandonata in una zona sperduta del Nord
Dakota, dove la terra è arida e i corvi volano a in
picchiata come segno divino a castigare sul nascere ogni voglia
di riscatto. Se il padre incarna il sogno americano e lotta
con le unghie e con i denti per coltivare un campo di girasoli,
se la madre ha il compito piccolo borghese ma universale di
tenere unita la famiglia, i figli sono gli unici a rendersi
conto che quella casa ospita presenze che non hanno nessuna
intenzione di accogliere i nuovi arrivati. E quando la porta
della cantina si apre senza che nessuno abbia impugnato la
maniglia, allora Jessica, la figlia maggiore, fisico asciutto
da Avril Lavigne, si morde il labbro e si cala negli abissi
del soprannaturale dove i morti tormentano i vivi e dove nessuno
è senza peccato. The Messengers
è una riflessione sulla memoria. Ciascuno dei personaggi
ha un passato oscuro con cui deve fare i conti e la sceneggiatura
li rinchiude nella fattoria finchè il conflitto con
se stessi non sarà affrontato e risolto. Ma è
anche un film sulla memoria del cinema. Non è originale
ma gioca con lo spettatore in un articolato sistema di citazioni
e rimandi. Alcune sequenze sono vertiginose stratificazioni
montate con sguardo consapevole e leggero. Si comincia con
Shining. L’arrivo della
famiglia per le strade impervie del Nord Dakota segue le montagnose
arrampicate della famiglia Torrance spiata con inquadrature
aeree da Kubrick. E come si fa a non pensare tutto il tempo
a Jack Nicholson scrittore in isolamento con la missione di
sterminare moglie e pargolo particolarmente fastidiosi. Bastano
poche sequenze e ci ritroviamo dalle parti di Poltergeist,
con gli spiritelli che giocano ad arredare la cucina, spostando
sedie e disturbando la quiete familiare. E arriviamo al momento
culmine delle citazioni, che non vi sveliamo perché
è da godere fino all’ultimo fotogramma, in cui
si mischiano Intrigo Internazionale,
Gli Uccelli e un episodio di
Sogni di Kurosawa.
Diretto con grande senso del ritmo dai fratelli Pang, è
il loro primo film in terra americana dopo il successo di
The Eye e raccontano forse meglio
degli americani stessi uno dei generi fondamentali di Hollywood,
le storie di fantasmi. Grazie allo sforzo produttivo di Sam
Raimi, partendo da un soggetto di ferro di Todd Farmer, collaboratore
delle ultime puntate di Venerdì
13 e giovane speranza dell’horror contemporaneo,
i fratelli Pang mettono in scena un prodotto onesto e molto
classico. L’unica pecca vera del film è la recitazione
che rischia di rendere poco credibili le sequenze ad alta
tensione che lo tengono in piedi fino all’ultima scena.
[matteo cafiero]
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