L’uomo
che visse due volte, ovvero Jack Starks (Adrien Brody), soldato dell’esercito
americano in Iraq durante la missione Desert Storm del 1991, morto
in un conflitto a fuoco e resuscitato in extremis sul tavolo dell’obitorio
militare. Lo ritroviamo vagabondare dodici mesi più tardi in
Vermont accusato di un omicidio di cui non ricorda nulla e rinchiuso
in un manicomio criminale. Qui inizia la sua seconda vita, fatta di
strani incontri, di cure a base di psicofarmaci e restrizioni claustrofobiche
frutto di un trattamento sperimentale dagli effetti collaterali impensabili
e rivelatori.
Il regista John Maybury, con un passato nel cinema sperimentale, costruisce
un racconto che come un pendolo si muove tra passato, presente e futuro
con estrema agilità e coerenza di esposizione disseminando
indizi e nodi narrativi il cui sviluppo avrebbe dato origine ad almeno
un alro paio di film. Narrato in prima persona dal “morto”
come in Viale del tramonto, lo spettatore
insieme al protagonista viene precipitato all’interno di una
serie di eventi, di frammenti di ricordi che si andranno a comporre
passo dopo passo sotto i nostri occhi sino al finale rivelatore e
forse un po’ troppo consolatorio – un occhio al box office
probabilmente da parte dei produttori Steven Soderbergh e George Clooney.
A metà strada tra horror e thriller paranormale, il film punta
molto sulla recitazione fisica del premio Oscar Adrien Brody, vive
della lucente bellezza di Kiera Nightley, di cui si intravedono discrete
doti recitative oltre ad una fisicità abbagliante, naviga sull’ambiguità
mefistofelica di un ritrovato Kris Kristofferson. Un viaggio allucinante
nella mente sconvolta di un reduce di guerra a metà strada
tra Allucinazione perversa di Adrian
Lyne e D.O.A. Cadavere in arrivo, impreziosito
da una tavolozza di colori lividi e desautorati del lynchiano direttore
della fotografia Peter Deming (Strade Perdute,
Mulholland Drive) e le ipnotiche musiche
di Brian Eno. [fabio melandri]