Ci
sarebbe molto poco da dire rispetto all’ultima fatica
dell’ (un po’ meno) imbolsito Kevin Costner. E
per non liquidarlo con un “il solito action-movie da
seconda serata di Italia1” dobbiamo gioco forza richiamarci
a tutta la seconda parte, fino ad arrivare al finale.
Chi va al cinema per gustarsi unicamente (e giustamente) la
storia, e non vuole rovinarsi il pur interessante colpo di
scena alla fine, non continui nella lettura dunque.
Per tutti gli altri, bisogna dire che The
Guardian è un film che si può sezionare
in due. A livello di regia, di patos delle interpretazioni,
di climax narrativo e di gestione della scena. La prima parte,
la prima ora, che scivola via tra la descrizione della vita
di un “eroe medio” americano e il romanzo di formazione,
senza infamia e (soprattutto) senza lode; la seconda, che
si articola grossomodo da metà film fino alla conclusione,
si dipana in una sequela più o meno interminabile di
scene madri, che cambiano continuamente di passo, risultando
snervantemente autoconclusive, celebranti questa volta di
un aspetto narrativo, l’altra di quello contrario, e
risultano alla fine mal costruite e mal incastrate, comunicando
un senso di claustrofobia visiva.
Ed è davvero un peccato, visto che il regista è
quell’Andrew Davis che ci aveva convinto e divertito
con (l’ormai lontano) Il fuggitivo.
E che ci convince e ci diverte per il breve lasso dei primi
dieci minuti: veniamo introdotti nel mondo del recupero costiero
con due sequenze vibranti e serrate, in cui sorprendentemente
anche l’ormai non più credibilissimo Costner
si trova a suo agio tra flutti impazziti e rottami vaganti.
Ma si scade subito nel canone trito dell’anziano costretto
dietro alla scrivania, e dell’attrito con il migliore
della classe, in un rapporto di amore/odio che, per non azzardare
riferimenti (impropri) troppo in là nel tempo, ricorda,
per messa in scena e riferimenti semantici, la struttura di
Annapolis. Tutto il film è
zeppo di situazioni/sequenze rubacchiate qua e là.
Oltre al già citato film sulla marina militare, si
fa riferimento a Ufficiale Gentiluomo,
Armageddon e perfino al thriller
sulle nevi Cliffangher.
L’addentrarsi nella seconda metà della pellicola
peggiora la situazione.
E come già detto, ci pone di fronte riappacificazioni
apparenti e rotture definitive, pensionamenti e continui ritorni
all’azione, scene pacificanti e di rottura, e via discorrendo.
Il tutto senza alcuna soluzione di continuità e con
un filo logico che, pur presente, fatica a tenere insieme
questa drammaticità voluta e posticcia, tanto che al
colpo di scena finale e alla morte (annunciata) dell’eroe
si arriva ormai svuotati da qualsiasi pretesa e da qualsiasi
aspettativa.
E purtroppo, nonostante il tentativo di non sbarazzarsene
così alla buona, le uniche prospettive dignitose che
intravediamo per The Guardian
sono quelle della seconda serata televisiva.
[pietro salvatori]
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