C’è
un tempo nella vita di ognuno in cui bisogna scegliere cosa
si vuole essere nella propria vita, il ruolo che si decide
di interpretare sul palcoscenico del mondo. Nella Boston insanguinata
dalla guerra tra la polizia locale e la banda del boss Frank
Costello (Jack Nicholson), la scelta è semplice: poliziotto
o criminale. Ed è questa la decisione a cui sono chiamati
Colin Sullivan (Matt Damon) e Billy Costingan (Leonardo Di
Caprio), il primo giovane criminale incallito ed infiltrato
come informatore nelle fila della polizia dove guadagna rapidamente
la fiducia di collaboratori e superiori, il secondo poliziotto
in incognito nelle file della gang di Costello, in perenne
bilico tra ciò che dovrebbe essere e ciò che
vorrebbe essere.
Facce di una stessa medaglia (anche fisicamente Di Caprio
e Damon tendono ad assomigliarsi moltissimo), due metà
una bianca ed una scura, una positiva e l’altra negativa,
che come nel simbolo del Tao sono attratte l’una verso
l’altra, corruttendosi vicendevolmente senza però
mai compenetrasi pienamente.
Tratto dalla trilogia Infernal Affairs
di Andrew Lau e Alan Mak, ispirato ai fatti narrati nei primi
due capitoli della saga, Scorsese più che un remake
realizza una personalissima reinterpretazione delle vicende,
aggiornandole ai giorni nostri, traslando l’azione da
Hong Kong a Boston, ed innestando tematiche e contenuti ricorrenti
della sua poetica. Al posto della mafia italiana, anzi sugli
italiani ironizza sadicamente – “Non piangiamo
sugli italiani versati” - abbiamo la delinquenza irlandese
che con gli italiani condividono la forte religiosità
cattolica ed il senso di appartenenza alla “famiglia”.
Scorsese, dopo essersi avventurato nel feuilleton storico
con Gang of New York e nel pomposo
biopic The Aviator, torna su
terreni a lui più consoni e conosciuti, il gangster
movie, affidandosi ad un cast di attori di primissimo piano
come il diabolico Jack Nicholson, gli eterei Leonardo Di Caprio
(qui alla sua seconda prova d’attore di un certo spessore
dopo il giovanilistico e lontano Buon
compleanno Mr Grapes) e Matt Damon, riempiendo anche
i ruoli secondari e di contorno di volti noti che vanno a
completare il colorato assieme del film: Martin Sheen, Alec
Baldwin e l’uomo per tutte le stagione Mark Wahlberg.
Un film come si nota prettamente maschile, in cui l’unica
figura femminile di un certo spessore sarà la miccia
che causerà la rovina dei nostri “eroi”,
la psicologa Madolyn interpretata dalla rampante Vera Farmiga,
confermando una certa misoginia del nostro autore.
Il film non convince pienamente. Poco coinvolgente a livello
emotivo (fatta eccezione per un paio di colpi di scena, uno
in particolare che mozza il fiato e le aspettative dello spettatore).
La sensazione è che, per la quantità di materiale
a disposizione, il film non vada mai in profondità,
cavalcando gli eventi in superficie senza riuscire a domarli
compiutamente, con l’idea di un’occasione non
completamente colta che si fa strada in noi. La camera mobilissima
di Scorsese è un pennello di grana grossa, come un
quadro che se visto ad una certa distanza appare perfetto
e compiuto, ma più ci si avvicina alla tela più
i dettagli si fanno meno definiti ed accurati. Nel complesso
un buon film ma a nostro giudizio inferiore a Quei
bravi ragazzi che in alcuni passaggi viene, non sappiamo
quanto coscientemente, citato, ma sull’argomento rimandiamo
alla visione del capolavoro di John Woo, Face/Off,
cuore ed anima.
[fabio melandri]
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