The Bridge
id.
Regia
Eric Steel
Sceneggiatura
Eric Steel
Fotografia
Peter McCandless
Montaggio
Sabine Krayenbuehl
Missaggio
Margaret Grimmins,
Greg Smith
Luci
Arthur Aravena
Musica
Alex Heffes
Produzione
Easy There Tiger Prod.
Interpreti
Anno
2006
Genere
documentario
Nazione
USA
Durata
93'
Distribuzione
Videa CDE, Warner Bros
Uscita
27-04-07

IL Golden Gate Bridge è stato definito da alcuni una delle sette meraviglie moderne.
Ed è proprio di questo prodigio della tecnica, che si staglia imponente nella baia di San Francisco, che tratta il documentario di Eric Steel, che si muove tra racconti di persone e immagini, quasi fotografiche, del ponte, splendide intersezioni tra un simulacro della scienza moderna e scorci semplici di vita quotidiana.
Fin qui nulla di straordinariamente nuovo o sorprendente. Il motivo che, però, ha fatto di The Bridge un piccolo evento all’ultima Festa del Cinema di Roma e ne ha propiziato il lancio nelle sale benedetto dalla Warner, è che la pellicola si concentra su uno degli aspetti cinicamente più curiosi e sicuramente più morbosi che ruotano attorno al ponte. Il fatto, cioè, che sia uno dei luoghi preferito dai suicidi per compiere il loro estremo atto finale.
Con due telecamere piazzate per un anno a riprendere la campata del Golden Gate, una in campo lunghissimo, fissa, e l’altra manovrata all’occorrenza da un operatore, il film documenta alcune storie, pillole nella grandissima quantità di atti estremi compiuti con il macabro ausilio del ponte, Più di 1500 dalla sua costruzione, 24 solo nel 2004, anno in cui Steel ha girato.
Il film si snoda a ritroso, ricercando le storie di alcuni di essi, cercando di intuirne le motivazioni, di capire il senso di un atto mai fino in fondo razionale. Lo fa mescolando il girato sul e del ponte, con le interviste ad amici e parenti dei suicidi, ognuno con la propria storia, con il proprio senso, mai risolutivo, mai definitivo, non in grado di poter mettere la parola fine ad alcuna storia.
E' un documentario ‘verità’ che ha la pretesa di essere qualcosa di più, in bilico tra l’inchiesta e la ricerca sociologica, essendo in più costruito con delle scelte di montaggio che contribuiscono a renderlo ancor più inquietante, seguendo i sentieri della fiction, della costruzione di un senso ulteriore che non sia quello filmato dalle immagini documentaristiche. Non si capisce, sinceramente, a cosa il film tenda. Bisogna sforzarsi per non cogliere tutti gli stilemi e i segnali di un presuntuoso e sterile esercizio di stile, che, noncurante di un giudizio, di qualsiasi tipo esso sia, scivola via lieve e allegro su storie grondanti sangue e triste disperazione. E, pur sforzandosi, questa impressione è dura a venir via. [pietro salvatori]