“Come
possiamo fare a meno di Superman!” questo è il
titolo dell’articolo che con il quale Lois Lane ha conquistato
il suo primo premio Pulitzer e nato dalla delusione dovuta
dall’improvvisa scomparsa di Superman per ben 5 lunghi
anni. Durante i quali la vita di Lois e dell’umanità
tutta è andata avanti, imparando a convivere con questa
ingombrante assenza.
Cosa che avevamo imparato a fare anche noi spettatori orfani
delle sue avventure dal 1983 e soprattutto privati del suo
interprete originale, prima ridotto su una sedia a rotelle
e poi recentemente scomparso, Christopher Reeve. Invece dopo
5 anni, nella finzione cinematografica, e 23 in quella reale,
le gesta dell’uomo venuto dallo spazio tentano di rinverdire
il mito di quello che sembra più che altro un’operazione
di archeologia cinematografica. Sostituito il compianto Reeve
con il granitico, inespressivo e sconosciuto Brandon Routh
- non che Christopher fosse un campione di sottigliezze espressive
e recitative ma la sua figura rientrava nell’area della
miticità cinematografica e quindi esentata da qualsiasi
giudizio, almeno per una certa generazione – il mondo
si trova improvvisamente soggetto ad una nuova minaccia portata
dall’autentico e storico nemico giurato di Superman,
ovvero Lex Luthor. Un lestofante a cui presta lineamenti e
carattere l’immenso Kevin Spacey, che senza dover ricorrere
alla nota criptonite, si mangia letteralmente il film in un
solo boccone.
La regola del business cinematografico è che meglio
ti riesce il villain (il cattivo, l'antagonista), più
avvincente e interessante risulta il film. Siamo nel campo
della classica eccezione. Tanto è accattivante, magnetico,
spiritoso Luthor, tanto risulta noiosa, pedante, confusa la
pellicola di Bryan Singer (X-men 1
e 2) che recupera elementi narrativi
delle precedenti avventure della saga e del suo spin-off televisivo
(seguito, rifacimento, omaggio?) oltre a sviluppare sottotrame
dell’inventiva e spessore di una soap-opera che qui
non riveleremo per non togliere il piacere (?) a chi non avesse
ancora visto il film.
Lo stesso strombazzatissimo cameo del resuscitato Marlon Brando
assomiglia più ad una trovata pubblicitaria piuttosto
che ad vera esigenza drammaturgia.
Singer cerca di dare nuova linfa vitale al mito, allungando
profonde ombre sul personaggio (operazione neanche troppo
originale e meglio realizzata da Sam Raimi con il suo Spiderman)
ed attribuendogli una malinconia di fondo che nasce dalla
duplicità della sua natura. Un essere di un altro mondo
allevato come un umano e vi risparmiamo la facile metafora
dei clandestini del mondo ed immigrati che vanno a costituire
la forza lavoro e quindi la sopravvivenza in paesi lontani
ed a volte irriconoscenti.
Superman Returns abbozza ma non risolve una serie di
sottotrame e spunti che diventeranno probabilmente la sostanza
degli inevitabili episodi che succederanno al presente, ma
quello che avremmo più curiosità di vedere,
probabilmente non verrà mai girato: lo spin-off con
protagonista assoluto il Lex Luthor di Spacey. Il nostro augurio
è che il mondo cinematografico non abbia più
bisogno di Superman, ma questo solo gli incassi ce lo potranno
dire! [fabio
melandri]