Sunshine
id.
Regia
Danny Boyle
Sceneggiatura
Alex Garland
Fotografia
Alwin Kuchler
Montaggio
Chris Gill
Scenografia
Mark Tildesley
Costumi
Suttirat Larlarb
Musica
Karl Hyde, Rick Smith, John Murphy (II)
Produzione
DNA Film, UK Film Council
Interpreti
Chipo Chung, Paloma Baeza, Rose Byrne, Cliff Curtis, Chris Evans, Troy Garity, Cillian Murphy, Hiroyuki Sanada, Mark Strong, Benedict Wong
Anno
2006
Genere
fantascienza
Nazione
UK
Durata
117'
Distribuzione
Fox Searchlight Pictures
Uscita
20-04-07

2057. In un apocalittico futuro la terra rischia il gelo perenne (quindi una morte lenta) causa lo spegnimento del sole. La stella che dà luce all’universo sta pian piano affievolendosi e il nostro pianeta, oramai una distesa di ghiaccio e neve, teme le sorti di una spedizione come unica speranza.
Un’equipe di 8 giovani scienziati in missione sulla nave spaziale Icarus II (la missione “I” fallita sette anni prima con un altro gruppo) trasporta una bomba grande come la superficie di Manhattan con lo scopo di lanciarla nel sole, creare una reazione e riaccenderlo nei secoli dei secoli. Ma qualcosa va storto e i piani si complicano.
Danny Boyle torna alla regia dopo 28 giorni dopo ancora supportato dalla penna di Alex Garland (sceneggiatore) con un film anfibio, un fantascientifico giallo intergalattico, un ibrido tra l’horror ed il thriller tra atmosfere cupe e psicologia umana, confermando la poliedricità e la curiosità creativa del regista inglese che continua a cambiare costantemente direzione dimostrando coraggio e versatilità.
I riferimenti ai quali Boyle si “appoggia” sono diversi, si passa da Solaris di Tarkovskij ad Alien, dall’Odissea nello spazio di Kubrick agli Space Cowboys dell’immortale Clint Eastwood.
Il computer di bordo, Icarus II, nel suo comunicare con l’equipaggio e dare informazioni rievoca Hal 9000, nelle sue memorabili risposte umanoidi e nella voce sintetica (anche se stavolta femminile) e il senso di claustrofobia evocata è quella della saga di Sigourney Weaver, anche se qui nessuno viene rincorso nei cunicoli. O quasi. La mdp si affaccia sulle inquadrature, come ad uscire dal corridoio e scorgere i presenti sulla scena, a coglierli sul fatto o sul dialogo indiscreto, un occhio invisibile, una presenza rarefatta come lo spettatore in sala. Il film miscela momenti di stasi ad altre di movimento, si alternano infatti situazioni di valutazione di rotta, preparativi per la missione e decisioni da prendere in merito alla spedizione, momenti di dialogo tra i protagonisti nei quali emergono e si assimilano caratteri, ruoli e attitudini. Ma l’azione non tarda ad arrivare: riparazioni esterne in tuta spaziale, imprevisti danni alla nave e presenze sopraggiunte dal passato (non sveliamo quali) terranno il ritmo sempre più alto ed in crescendo da metà film in poi, fino al culmine, al finale quasi inevitabile, forse scontato ma non banale.
Danny Boyle sembra con quest’ultimo lavoro affinare la sua regia, renderla meno sincopata del solito, lasciare da parte il sarcasmo inglese e l’atmosfera da eterno teenager e impadronirsi invece di uno stile più raffinato e maturo, più risoluto e snello. L’ambiente futuristico non è semplice da ricreare, ma il suo team-project è riuscito a tenere i costi totali sotto la soglia dei 40 milioni di dollari (difficile per film simili) e nonostante tutto a ricreare un’atmosfera a metà in cui nella prima parte del film si sofferma sull’ammirazione, del sole e della sua potenza “buona”, dello spazio e i suoi infiniti limiti. Lo spazio come il mare, entità che scatenano contemplazione per alchimia ma allo stesso tempo senso di timore, in entrambi l’oscurità e l’assenza sono indistintamente fonte di calma e paura. Detto fatto. L’errore umano è una scintilla, ed in questo caso da il via ad una serie di sfortunate vicende che decimeranno i protagonisti.
Boyle, in un attualissimo stile televisivo propagandista pubblicitario, utilizza anche la fastidiosa ma efficace tecnica dei flash subliminali per insediare i volti (felici il giorno del decollo) della missione precedente nella nostra mente come uno scatto di una polaroid.
L’intreccio regge fino a 3/4 di film, dove una trovata fanta horror mischia le carte di un film assolutamente coerente. La scelta stilistica (che non riveleremo e di evidente segno Garneriano) risulta forse troppo azzardata e un po’ forzata, ma nel complesso è ben assorbita con effetti di ripresa che confondono lo sguardo e lasciano una sensazione di evanescenza. Poi capirete. Un’altro appunto è sicuramente il cast giovane (seppur niente male) che da poco realismo alla scelta di inviare scienziati sul sole per una titanica missione verso la salvezza della terra. Qualche elemento forse più anziano o maturo avrebbe dato più credibilità al tutto.
Nel complesso il film è piacevole e incuriosisce, non ha notevoli cali di tensione se non forse nel finale, punto debole della struttura. Ma c’è da ammirare tuttavia Boyle per i suoi costanti progetti mai uguali, e per il riuscire a trasmettere ovunque il suo senso di desolazione e tema dell’apocalisse. La terra è per lui qualcosa da mettere in pericolo per renderla interessante (28 giorni dopo), altrimenti bisogna cercare altrove (The Beach). Le persone giuste, nel bene o nel male fanno di te quel che sei (Trainspotting), ma resta il fatto che solo se vedi le cose come i bambini (Millions) riesci a divertirti fino in fondo.
Lunga vita a Mr. Boyle dunque ed al suo circo imperfetto di imperfette creature. [alessandro antonelli]



| sito |