Partendo
dalla storia politica della Gran Bretagna post bellica, Ken
Loach racconta lo spirito di unità che aveva guidato
la mentalità comune in quegli anni alternando immagini
di repertorio con interviste a storici del periodo, personalità
politiche e persone viventi all’epoca dei fatti narrati.
La Difficoltà nel recensire una pellicola come The
Spirit of ’45 è nello scegliere
se pensare e recensire la pellicola trattandone i contenuti
come naturalmente uniti al linguaggio scelto per raccontarli
o se distinguere il messaggio di fondo del film – sostanzialmente
un’apologia della statalizzazione dei servizi essenziali
– dalla forma scelta per mettere in scena il medesimo
tema. Difficoltà perché la prima opzione sarebbe
inevitabilmente inquinata da mie personali griglie ideologiche
e sottrarrebbe spazio al commento sullo specifico cinematografico,
la seconda finirebbe invece per non trattare l’opera nel
suo complesso.
Mi rimane una terza possibilità in effetti, anche se
è un po’ da pubblicitario, premettere la mia posizione
riguardo i contenuti (e li condivido) e spiegare se e come ritengo
efficaci e legittime le modalità retoriche e comunicative
scelte per esporli (no e no).
Il film non riesce di lasciarsi credere efficace perché
The spirit of ’45
sceglie una impostazione che sembra destinata a strizzare l’occhio
a quelli che già la pensano come il regista e già
di per se questa è una tendenza frequente. Il cinema
d’impostazione più liberale è anche quello,
paradossalmente, più snob e disinteressato ad allargare
il suo pubblico. Ragionamento che andrebbe benissimo se fossimo
di fronte a un prodotto rigorosamente “artistico”
pensato solo per un pubblico con gli adeguati strumenti per
comprenderlo, ma che risulta fallimentare quando l’evidente
pretesa del documentario di Loach è quella di essere
stimolo a un cambiamento culturale rispetto ai temi trattati.
Il film manca anche di un linguaggio adeguato e chiaro negli
intenti. Vorrebbe essere storico, ma scelte discutibili e retoriche
come l’accompagnamento con musiche da commedia d’altri
tempi e la scelta di appiattire repertorio e interviste recenti
al medesimo bianco e nero vanificano qualunque pretesa scientifico-storica
del prodotto riducendolo a mero volantino politico.
Una pellicola che tratta una legittima posizione politica come
un prodotto da vendere attraverso un’astuta pubblicità
che poi tanto astuta non pare, perché non sa puntare
all’audience giusta e dunque finisce con l’essere
doppiamente fallimentare, come spot e come film. A un regista
con la carriera di Loach una tale sciatteria non è in
nessun modo perdonabile. [davide
luppi] |