The Spirit
segna
l’esordio alla regia di Frank Miller, mitico disegnatore
e padre di filoni come Spider-Man, Wolverine, Batman, Sin
City, tanto per citarne alcuni. Ma per questo suo debutto,
Miller non pesca nel suo immenso repertorio di lavori, ma
sceglie la fonte, l’ispiratore della sua carriera, ovvero
il disegnatore newyorkese Will Eisner. Eisner aveva poco più
che vent’anni quando creò The
Spirit, un eroe mascherato vestito con un completo
elegante, una cravatta rosso fuoco, guanti, cappello e nessun
potere da supereroe da sfruttare. Un personaggio adulto, con
un senso dell’umorismo molto asciutto, un occhio attento
per le donne e una devozione assoluta verso la sua città,
Central City di cui esprime l’anima, lo spirito…appunto.
Così lo descrive Miller:” Non è un supereroe.
Non è in grado di volare o di sollevare le macchine.
Ma ha una dote straordinaria: è capace di ricevere
dei colpi devastanti e guarire più in fretta di chiunque
altro. Così, in mezzo a questa avventura romantica,
si trova coinvolto in un percorso esistenziale per scoprire
chi è realmente”. Come ogni eroe che si rispetti,
ha un nemico feroce ed implacabile, un alter-ego cui le somiglianze
in verità sono assai maggiori delle distanze anche
se uno è portatore di ordine e l’altro del caos
nel mondo, uno cerca di aiutare le persone mentre l’latro
vorrebbe dominarle e ridurle in schiavitù: Octopus.
Nel mondo di The Spirit, dove
Central City nasce dalle fogne di New York e genera la città
di Gotham City, le donne sono vestite da sera, gli uomini
indossano dei completi e dei cappelli, mentre i taxi sono
delle eleganti sedan degli anni cinquanta. Ma è anche
un ambiente fatto di telefoni cellulari, giubbotti antiproiettili
e clonazione. Le avventure del film hanno un livello di forza
e violenza tipico del ventunesimo secolo, piuttosto che degli
anni quaranta. Inoltre, l’umorismo irriverente che era
una parte importante dell’universo di Eisner ha decisamente
un ruolo di primo piano ed è arricchito dalla caratteristica
ironia di Miller.
Il risultato è un prodotto anomalo, un fumetto cinematografico
che mantiene la bidimensionalità della pagina disegnata.
L’estetica di Miller ricorda sin troppo da vicino quella
già ammirata in Sin City,
con i profondi scuri color pece, personaggi border-line con
una tristezza di fondo alla Raymond Chandler ed inserti di
cinema animato che ben si fondono con le immagini live.
Purtroppo questa cura verso la confezione è a discapito
del contenuto, con una trama pasticciata e confusa, interpretazioni
che vanno da un’estremo gigionismo di Octopus (Samuel
L. Jackson macchietta di se stesso) ad un mono-espressionismo
facciale del semi-sconosciuto protagonista Gabriel Macht (Una
canzone per Bobby Long, L’ombra
del potere). Arricchiscono la composizione barocca,
le numerose presenze femminili che vanno da Eva Mendes ad
una irriconoscibile Paz Vega per finire alla prorompente Scarlett
Johansson.
Nel complesso l’ennesimo film noiosetto, di cui non
si sentiva assolutamente la necessità e di conseguenza,
passata la sbornia natalizia, la mancanza nonostante il possibile
sequel che si prospetta dal finale aperto della pellicola.
[fabio melandri]