Soul Kitchen
id.
Regia
Fatih Akin
Sceneggiatura
Adam Bousdoukos, Fatih Akin
Fotografia
Rainer Klausmann
Montaggio
Andrew Bird
Scenografia
Tamo Kunz
Costumi
Katrin Aschendorf
Musica
Klaus Maeck, Pia Hoffmann
Interpreti
Adam Bousdoukos, Birol Ünel, Moritz Bleibtreu, Pheline Roggan
Produzione
Corazón International, Pyramide Productions (Francia), NDR, Dorje Film (Italia)
Anno
2009
Nazione
Germania
Genere
commedia
Durata
99'
Distribuzione
Bim Distribuzione
Uscita
08-01-2010
Giudizio
Media

La vita è quello che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti. (John Lennon)

Zinos (Adam Bousdoukos), che gestisce un ristorantucolo e deve vedersela con fidanzate in corso di trasferimento, ernie, fratelli appena usciti di galera, speculatori immobiliari che han messo gli occhi sulla sua attività, esattori e ufficio d'igiene. Finirà tutto bene.
Le cose talvolta possiedono una profondità implicita che solo col tempo si riesce a cogliere.
Il ristorante che da il titolo al film è stato battezzato così dal protagonista in omaggio alla Soul Music, ma diventa luogo di “Cibo per l'anima” secondo lo chef filosofo interpretato da Birol Unel.
Allo stesso modo, il regista Fatih Akin, già autore del bellissimo La sposa turca voleva fare un film leggero, per staccare un po', e si è accorto di quanto sia difficile ottenere la leggerezza; ma noi che leggiamo Calvino già lo sapevamo.
Quello di cui ci siamo accorti, è che forse, nella sua leggerezza, Aki ha realizzato il suo film manifesto descrivendo la sua idea di cinema e il suo rapporto col pubblico. Tra le righe della filosofia culinaria dell'eccentrico chef c'è un'idea estetica: la qualità degli ingredienti conta meno della forma in cui sono presentati, ma anche qui, noi fan di Quentin Tarantino già lo sapevamo.

Note di regia: Fatih Akim
Era da un po' di tempo che avevo in mente di fare un film come SOUL KITCHEN. Pensavo spesso al mio vecchio amico Adam Bousdoukos e alla sua “Taverna greca” nel rione Ottensen di Amburgo. Per noi era più di un ristorante: era un luogo di avventura, un serbatoio di raccolta, un posto dove festeggiare, una casa. Volevo catturare l'atmosfera e lo stille di vita che ho sempre strettamente associato alla “Taverna” e non sarei riuscito a farlo se avessi aspettato ancora qualche anno. Non potrò andare alle feste o stare in giro fino alle ore piccole cinque sere alla settimana per sempre. Arriverà il momento in cui inizierà a venirmi il mal di testa, troverò la musica troppo forte, mi darà fastidio il fumo, come è giusto che sia. Invecchiamo tutti e a un certo punto quello stile di vita semplicemente scompare. Eppure, fare un film che lo racconta è importante, perché in fondo si tratta di un tema esistenziale. È una storia che parla di bevute, di mangiate, di feste, di balli e di casa. Avevo voglia di realizzare un film sul concetto di casa, non come luogo definito da una nazionalità, tedesca o turca che sia, non come luogo geografico, ma come condizione esistenziale e come stato mentale.

FATIH AKIN A PROPOSITO... DI COME IL FILM È STATO REALIZZATO
La storia della realizzazione di SOUL KITCHEN è un'odissea iniziata nel 2003. Un bel giorno mi misi a provare un nuovo programma di elaborazione testi. Adam e la sua ragazza si erano appena lasciati, quindi cominciai scrivendo: “Adam ha il cuore spezzato, il ristorante non potrebbe andare meglio”. Nel giro di poche ore avevo scritto 20 pagine di copione e in cinque giorni terminai la stesura della prima bozza della sceneggiatura. Poi ricevetti l'Orso d'oro per LA SPOSA TURCA. A quel punto, SOUL KITCHEN non mi sembrava più abbastanza importante. Non riuscivo a liberarmi del tutto delle pressioni che accompagnavano il successo. Ma avevamo bisogno di un nuovo soggetto per tenere in piedi la nostra casa di produzione, la Corazón International, che avevamo fondato per LA SPOSA TURCA. Così girammo CROSSING THE BRIDGE e SOUL KITCHEN rimase in un cassetto anche se continuavo a sviluppare la storia. A un certo punto decisi che avrei soltanto prodotto il film affidando la regia a qualcun altro. Ma mi disturbava il fatto che, dopo LA SPOSA TURCA e AI CONFINI DEL PARADISO, sembravo essermi fissato sull'idea di realizzare solo film seri. Non volevo essere schiavo del mio successo e iniziai a chiedermi: “Per chi sto lavorando?”

SOUL KITCHEN non è il terzo capitolo della mia " trilogia sull'amore, la morte e il diavolo". Le prime due parti della trilogia (LA SPOSA TURCA e AI CONFINI DEL PARADISO) sono state estremamente faticose ed estenuanti e hanno richiesto molti sacrifici. Con SOUL KITCHEN volevo riprendermi. Mi aspettavo che sarebbe stato un esercizio leggero, un lavoro che mi ricordasse che la vita non è fatta solo di dolore e introspezione. Una sorta di pausa prima di iniziare ad affrontare il diavolo, che so per certo che non sarà un'impresa facile. Inoltre volevo realizzare SOUL KITCHEN prima che diventasse troppo tardi perché fosse credibile. Non avrei mai immaginato neanche per un istante che si sarebbe trasformato in un progetto complicatissimo, molto costoso ed estenuante, che mi avrebbe portato via un sacco di tempo! C'è una strana legge nel cinema che dice: se non soffri mentre fai un film, non diventerà un buon film. Prima di SOUL KITCHEN, pensavo che fossero solo chiacchiere, ma la realizzazione di un film “facile” mi ha indubbiamente dato una lezione.

FATIH AKIN A PROPOSITO... DI AMBURGO
Sentivo di dovere un film a questa città. Recentemente, due persone di cinema di New York sono venute a trovarmi, “Ehi, perché vivi ancora qui? Quando ti trasferisci a New York?”. Io ho risposto, “Perché qui sto davvero bene. Conosco tutte le scorciatoie, i cinema, i locali, so dove trovare un bravo dottore, dove comprare la verdura migliore. Perché dovrei trasferirmi in un'altra città?”. Abbiamo cenato e siamo usciti per fare un giro in città. Prima siamo andati a un electro party nell'ex edificio Frappant nel distretto di Altona, poi siamo andati nel distretto di Schanzen, al Mandalay e più tardi al Bernstein Bar. Infine, siamo approdati al Kiez, il distretto a luci rosse di Amburgo. Alle 6 del mattino, la gente usciva dai club e noi gironzolavamo per l'Hamburger Berg, una zona di ritrovo molto popolare. Faceva caldo, stava sorgendo il sole e i miei due amici newyorkesi erano sbalorditi. I bar chiudono alle 4 del mattino a New York. Alla fine mi hanno detto, “Okay, adesso capiamo perché non te ne vuoi andare. Questa città è fantastica, ha un'architettura grandiosa, un'ottima cucina, dei locali meravigliosi e donne bellissime.” Spero di essere riuscito a catturare un po' di tutto questo in SOUL KITCHEN.

Abbiamo scelto di proposito i luoghi della città che presto non esisteranno più: il Mandarin Kasino, dove un tempo c'era il vecchio Mojo Club. L'Astra Stube sulla Sternbrücke, che sarà demolito con la ricostruzione del ponte. O il club nell'edificio dell'ex grande magazzino Karstadt sulla Grossen Bergstrasse nel distretto di Altona. Comprai il mio primo disco in vinile al Karstadt, “Parade” di Prince & the Revolution. E naturalmente il quartiere Wilhelmsburg rappresenta la trasformazione della città. È previsto che l'intero sobborgo diventi una zona alla moda e il vecchio quartiere industriale con i suoi tanti operai e immigrati sta lentamente scomparendo. E poi quello che mi piace della scelta di Wilhelmsburg come location è che l'eroe deve attraversare il ponte per recarsi al lavoro. Proprio come il Bosforo a Istanbul: devi attraversare il mare per passare da una parte all'altra della città.

FATIH AKIN A PROPOSITO... DI BUONA CUCINA E KUNG FU

Nella “Taverna greca”, servivano piatti tipici come calamari fritti, spiedini di pesce, braciole di agnello, etc. Un giorno, a Salonicco, dove eravamo per un festival di cinema, Adam e io assaggiammo delle squisite pietanze tradizionali fatte in casa. Ci piacquero moltissimo e cambiarono radicalmente la nostra percezione della cucina greca. Volevamo poterle gustare anche in Germania e così Adam chiese a sua madre di cucinarle alla “Taverna”. Non avevo mai gustato piatti così buoni in quel ristorante, eppure nessuno degli avventori voleva mangiarli. Reclamavano le solite patatine fritte, il solito pesce insapore e i soliti disgustosi calamari fritti!

In SOUL KITCHEN, mostriamo che la buona cucina allontana gli habitué. Nel film, Shayn, il nuovo cuoco, dice, “Per gli stessi soldi, posso cucinarti quattro piatti.”. I clienti fissi non se ne vanno perché i piatti costano di più, ma perché sono diversi. Però alcuni di loro ritornano e alla fine apprezzano persino la nuova cucina. A volte hai bisogno di ricevere una spinta verso la fortuna.

Ci siamo ispirati ai classici film di arti marziali. Per questo abbiamo realizzato la sequenza di montaggio in cui il cuoco Shayn, interpretato da Birol Ünel, rivela i segreti della cucina al suo allievo Zinos: frullando, tagliando, decorando, etc. È come nei vecchi film della serie “Rocky”, dove, in un montaggio serrato, Rocky corre, fa sollevamento pesi, si esercita con il sacco. O come nei film di Jackie Chan: c'è sempre un maestro che insegna all'eroe tutte le tecniche del combattimento: il serpente, la gru, il drago piccolo e il drago grande. E quando l'allievo le ha assimilate, il maestro muore o se ne va. Anche Shayn scompare quando Zinos non ha più bisogno di lui. Shayn è il classico mentore: insegna a Zinos come cucinare.

FATIH AKIN A PROPOSITO... DI MACCHINA DA PRESA, LUCI, SUONO E MUSICA
In LA SPOSA TURCA non c'erano carrelli o steadycam: la macchina da presa era sempre a spalla. Sfruttavamo la luce naturale perché volevamo girare in fretta. Film come TRAFFIC e LE ONDE DEL DESTINO erano stati la nostra fonte d'ispirazione. AI CONFINI DEL PARADISO è stato realizzato in modo completamente diverso. Lì eravamo influenzati dal cinema iraniano. Volevamo dare alla storia un respiro temporale e spaziale ampio e tranquillo e ci siamo immersi completamente in quelle dimensioni limitando al massimo tutti i movimenti di macchina.

Per SOUL KITCHEN, abbiamo deciso di raccontare la storia accelerando un po' il ritmo della narrazione e il linguaggio visivo. La macchina da presa è costantemente impegnata ad avvicinarsi ai personaggi, ad allontanarsi da loro o a seguirli. Allo stesso tempo, volevamo delle immagini classiche, non da macchina da presa a mano. Ci siamo fatti guidare da film come BOOGIE NIGHTS – L'ALTRA HOLLYWOOD e QUEI BRAVI RAGAZZI, due film che raccontano anch'essi un certo stile di vita. Ma non volevamo neanche realizzare un film eccessivamente chiassoso o colorato. Non volevamo forzare le risate del pubblico. Niente colori esagerati, nessuna voce fuori campo alta e penetrante: abbiamo voluto eliminare ogni tipo di distrazione perché, malgrado tanti elementi comici, il film racconta comunque la storia di una rottura e di una separazione. I costumi, le scenografie e tutti gli elementi visivi sono realizzati in colori smorzati. Volevamo immagini tragiche, ma volevamo anche luci intense. Abbiamo lavorato molto sull'illuminazione, utilizzando spesso il controluce per dare ai personaggi, in particolare a quelli femminili, una certa definizione e una certa intensità. Quando Illias si innamora di Lucia, anche noi dobbiamo innamorarci di lei. Quando Nadine diventa inaccessibile, dobbiamo sentirlo anche noi. Volevamo anche che la macchina da presa fosse musicale: sul set ascoltavamo sempre le canzoni della colonna sonora, in modo da sentire l'atmosfera giusta per i movimenti di macchina e da sperimentare con essa. La colonna sonora è composta da molti brani strumentali soul degli anni '70, come quelli di Quincy Jones e di Kool & The Gang, che danno trasparenza a ogni cosa. Mi piace usare le canzoni come commento, per inserire un secondo o terzo livello di lettura. Alla fine del film, quando, durante la vendita all'asta del Soul Kitchen, il concorrente di Zinos si strozza con un bottone, si sente in sottofondo “The Creator Has A Master Plan” di Louis Armstrong. È una scena comica, ma ha anche qualcosa di divino. Io credo in questo, credo in un'energia che rende possibili cose di questo genere.