L’azione
si svolge in Sardegna tra il 1937 e il 1950.
Sonetàula (Francesco Falchetto) ha dodici anni all’inizio
della storia, venticinque al suo tragico epilogo. Servo-pastore
nell'adolescenza, il padre al confino, cresce figlio di bosco,
con le splendide figure del nonno (Serafino Spiggia) e di
zio Giobatta (Giuseppe "Peppeddu" Cuccu ) come guida.
A diciotto anni Sonetàula reagisce a un affronto sgarrettando
il gregge del provocatore. Non risponde alla chiamata dei
carabinieri, sceglie la latitanza e diventa bandito: assalti
stradali, ammazzamenti, vita randagia da fiera inseguita,
paura, solitudine… e la vendetta sull'uomo che aveva
incolpato il padre di un delitto non commesso.
Il destino di Sonetàula si intreccia con quello di
Maddalena (Manuela Martelli), cresciuta in casa, sempre amata,
e di un altro ragazzo, Giuseppino (Antonio Crisponi), che
ha fatto una scelta diversa allontanandosi dal richiamo della
tradizione. Al contrario di Sonetàula, Giuseppino si
stacca dalla sorte comune e “si salva” accettando
l'inevitabilità dello sviluppo in Sardegna dove, sopra
suoni di greggi e raffiche di mitra, passano gli elicotteri
dell'antimalaria e sui casolari e i paesi del dopoguerra si
accende il miracolo dell'energia elettrica.
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Note
di regia: Salvatore Mereu |
“…Aprì
il cancelletto, s’ affacciò guardingo.
Non gli sfuggiva l’ enormità del rischio
a mostrarsi in giro a quell’ora, con tutta la
forza pubblica acquartierata a Orgiadas dopo la strage
di Iuncargiu. Un azzardo a costo imprevedibile il suo…
Riparò in un vicolo familiare, ma anche lì
cominciava ad esserci vita…e non poteva fermarsi
e nascondersi, prosegui innervosito…giù
verso il camposanto… Sapeva di aver trascurato
quella mattina le minime regole di sopravvivenza e la
via di fuga era ancora lunga e piena d’insidie.
S’ avventurò nel piazzale, raggiunse di
corsa l’abbeveratoio per i buoi, svoltò
in una stradina bianca. Era teso, persino un cespuglio
scosso dal passaggio di una lepre lo faceva trasalire.
Non anima viva nel primo tratto. Poi, alla curva di
Nurapegis, tutto accadde in meno di un minuto. L’
agitato andirivieni di uomini in kaki oltre una discarica
e intorno il clamore di altre squadriglie. Sonetaula
capì. |
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L’avevano
chiuso in una trappola e ne doveva uscire, il turbamento si
rovesciò in furore; aprì il fuoco a raffica
lunga, e quelli rispondevano ed era un frastuono alto, si
rattrappì dietro la muriccia, unico riparo, sentiva
il suo nome gridato con rabbia e l’ invito a fermarsi,
ad arrendersi. Mai gliela avrebbe data vinta, si sporgeva
a sparare e più intensamente sparavano gli uomini in
kaki.
Seguì una pausa del fuoco, fu spinto a lanciarsi a
correre verso l’imboccatura di una caverna sconosciuta.
Ancora un crepitìo dalla discarica, s’ avvitò
con uno scuotimento di tutto il corpo, cadde di schianto,
per qualche istante le gambe continuarono a muoversi convulsamente…”
Sonetaula è la storia di una vita che si consuma alla
velocità del vento. Appena fuscello, le ossa che fanno
ancora “sonetaula” (rumore di legna), si vede
portare via il padre prima ancora che questi l’ abbia
potuto aiutare a diventare albero. La furia del vento, che
soffia come un destino ineluttabile al quale non si riesce
a opporre riparo, lo getta presto alla macchia bruciandogli
rapidamente il terreno intorno senza che vi abbia ancora potuto
mettere radici. La combustione è implacabile e si compie
definitivamente in quell’ ultimo gesto disperato di
fuga col quale si chiude il romanzo (sopraccitato). Spira,
sempre, durante tutta la narrazione, una sorta di fato, di
stato di necessità, che colloca il racconto dalle parti
più alte della tragedia. Nel leggerlo per la prima
volta, si avverte forte l’urgenza di risarcire quella
piccola
vita che si nega, e subito, anche nella semplice veste di
lettori, s’impone l’esigenza di raccontarla perché
già questo, istintivamente, ci appare un modo di prolungarla,
e di rendergli giustizia. Soltanto la vita vera, ci richiama
talvolta a questa esigenza e quasi sempre associandoci all’esperienza
del dolore, della privazione. Chi di noi, non ha mai sentito
forte, l’anelito di far rivivere attraverso il racconto
qualcosa che ci è venuto a mancare. E’ il sentimento
che in genere ci accompagna quando ci si ritrova davanti ad
un piatto di minestra a rievocare un proprio congiunto la
notte della sua tumulazione o in modo meno drammatico quando
rincorriamo con le parole, cercando di farlo rivivere, un
amore finito troppo in fretta, ma ancora vivo dentro di noi.
Un medesimo anelito si avverte assistendo alla fine dolorosa
di Zuanne dopo aver vissuto accanto a lui durante la lettura.
Come nella vita, anche nel romanzo, c’è certo
un sentimento di privazione, quello di una vita che non si
compie, reso ancora più doloroso, come tutti i lutti,
dal fatto che Sonetaula ci pare di conoscerlo, e pare portare
dentro di se qualcosa di noi stessi. La vita di Zuanne Malune
infatti non è molto diversa da quella di tanti ragazzi
della mia infanzia, cresciuti con me negli stessi banchi di
scuola,e ai quali la vita si è negata, e Orgiadas,il
paese del romanzo e della sceneggiatura, riassume in se, virtualmente,
tante piccole comunità della Sardegna dell’interno
che da bambino ho fatto in tempo a conoscere. (La storia in
Sardegna, almeno fino a vent’ anni fa, è corsa
meno veloce che da altre parti).
E poi, vi è la scrittura di Fiori che pare invogliare
in questo intento di “riesumazione”. Secca, precisa,
tagliente, lascia già prefigurare in modo nitido la
scansione delle immagini, e pare tanto fatta apposta per il
cinema da far risultare la forma letteraria soltanto temporanea
e accessoria, qualcosa da portare, appunto, a definitivo compimento
con le immagini. Quasi una sceneggiatura, a saperla guardare,
che possiede già inscritta la sua naturale messinscena.
Basta tutto ciò per sostituirsi al narratore originario,
e in nome di una semplice suggestione letteraria, che forse
trova rimandi anche nel proprio vissuto, proporsi a propria
volta narratori fino ad avventurarsi in un impresa titanica
come un film in costume?
Al di là della grande difficoltà, oggi in Italia,
a far diventare i film una professione, una suggestione, quando
si presente in maniera così calda, tiranna, senza mai
abbandonarci, dandoci costantemente la sensazione di sentirci
a casa, oltre a diventare una preziosa bussola nel nostro
cammino, deve sempre poter essere un valido motivo per instradarci
in un film specie se, insieme a questo tepore, è in
grado di procurarci quel sentimento di pienezza, di traboccante
gioia intima, di cui tante volte ha parlato un regista, da
cui tante volte mi sarebbe piaciuto farmi guardare in questo
viaggio, come Gianni Amelio.
La storia di Sonetaula raccontata da Fiori trabocca di questa
pienezza, e mi ha risvegliato questa gioia intima, al punto
che subito mi è sembrato urgente scriverla, per raccontarla
di nuovo. Con molto pudore mi sono addentrato nelle pieghe
del racconto e ho cercato di abitarlo cercando di trovare
tutto quello che mi apparteneva. Talvolta anche forzandolo,
per rendere più vero e più stabile l’
appaesamento. Limitarsi ad un’ illustrazione filmica,
anche di un romanzo mirabile, sarebbe inutile per gli altri
e per se stessi, soprattutto quando un racconto offre la possibilità
di raccontare un mondo in cui possono trovare tracce della
propria esistenza. Vi può essere motivazione più
alta di questa, specie se accompagnata dall’ urgenza
di farlo?
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