New
York ai nostri giorni. A causa di uno scambio di identità
Slevin (Josh Hartnett) rimane coinvolto nella guerra ordita
da due capi criminali acerrimi nemici: Il Rabbino (Ben Kingsley)
e Il Boss (Morgan Freeman). Costantemente sorvegliato dall’inflessibile
Detective Brikowski (Stanley Tucci) dovrà riuscire
a salvare la pelle dribblando tra tirapiedi logorroici ed
ortodossi, uno spietato assassino Goodkat (Bruce Willis) che
sembra saperne una più del diavolo ed affari di cuore
affidati alla patologa con una gran voglia di impicciarsi
della vita degli altri Lindsay (Lucy Liu).
Naso rotto, Slevin sembra l’utile sciocco, il perfetto
capo espiatorio di un regolamento di conti che pone le sue
radici in un sanguinolento passato, insomma “l’uomo
sbagliato nel momento sbagliatissimo.”
Slevin Patto Criminale si inserisce
in quella categoria di film che da Pulp
Fiction in avanti ha fatto dei dialoghi cool e logorroici
la loro ragione d’essere, con personaggi border-line
incapaci di prendersi troppo sul serio che condiscono le loro
azioni più efferate di una sardonica ironia e filosofia
in pillole. Avvalendosi della regia elegante e fumettistica
di Paul McGuigan (scozzese di Glasgow ed autore di The
Acid House e Gangster Number
1), Slevin sembra quasi una novel graphic in action
grazie anche ad una fotografia di Peter Sova (Gangster
Number 1, A cena con gli amici,
Good Morning Vietnam, Donnie
Brasco) che sposa l’uso intenso di tonalità
chiaroscurali, quasi a esternare l’universo psicologico
di ogni personaggio. Un film che fa della violenza un meccanismo
narrativo incapace di prendersi troppo sul serio ed un prologo
che per i più attenti presenta elementi ed indizi per
lo svelamento del Mcguffin dell’opera.
Nel complesso un film gradevole, ammiccante quanto basta e
sostenuto da una cast di attori di primissimo piano in cui
si stalla il sempre inespressivo Josh Hartnett, sebbene grazie
a quella sua aria perennemente stralunata rende verosimile
un personaggio altrimenti improbabile. [fabio
melandri]
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