“Raccontare una donna a tutto tondo era un’urgenza
sentita da sempre, puntare sul fascino di un’identità
contraddittoria e autentica, mettere in scena il desiderio
di vivere la passione senza indecisioni e di affrontare le
conseguenze fino alla sconfitta finale”.
Queste le premesse della regista Labate, ma purtroppo in gran
parte rimaste incompiute. Signorinaeffe
è un film che potrebbe dare molto, che avrebbe potuto
coinvolgere lo spettatore, farlo tornare indietro nel tempo,
agli anni Ottanta, quando gli operai avevano ancora un peso
nella società e quando era possibile appassionarsi
durante il discorso di un politico. Ma è un’operazione
del cuore, che non ha trovato le chiavi per trasformarsi in
un lungometraggio credibile.
La pellicola numero sei dell’autrice del testo La
mia generazione tratta di una famiglia, quella dei
Martano. Padre operaio di origine meridionale, trapiantato
a Torino: in casa ci sono due figlie (Emma e Magda), lo scapestrato
Peppino (Gaetano Bruno), mamma e nonna. Siamo nel 1980, per
la precisione settembre. Nello stabilimento Fiat di Torino
stanno per licenziare quindicimila operai. Oltre a loro, vi
lavorano i quadri dirigenziali e i dipendenti di un settore
nuovo: quello informatico. È qui che Emma (Valeria
Solarino, bella ma non ancora matura né credibile per
un ruolo così impegnativo) ha la sua scrivania, è
lei il vanto della famiglia Martano: sta per laurearsi in
matematica, è fidanzata con Silvio (Fabrizio Gifuni),
un ingegnere vedovo ed ha un posto sicuro. Le fatiche dell’intera
famiglia, le nottate del padre Ciro (Giorgio Colangeli, perfetto
nella parte del padre anziano e desideroso di rivalsa) chino
a fare i conti, visto che “dignità e salute so’
chiacchiere sindacaliste”, potranno finalmente avere
una rivalsa.
Ma arriva Sergio, un Filippo Timi che sul grande schermo ancora
non riesce ad esprime le amplissime capacità recitative
che gli appartengono, un giovane operaio passionale, un militante
ancora non domato dalle regole della società.
In fabbrica inizia un lungo, durissimo sciopero della durata
di 37 giorni. In questo lasso di tempo si consumano il destino
degli operai italiani e la storia tra Sergio ed Emma. La conclusione
sarà negativa per entrambi. I giovani amanti dopo un’iniziale
unione, si lasceranno, per poi ritrovarsi nel 2007, all’uscita
del Lingotto, trasformato in centro commerciale: lei oramai
donna borghese, lui autista di taxi.
Dall’altra parte la marcia dei quarantamila colletti
bianchi contro i picchetti chiuderà il capitolo della
lotta sindacale. Un’epoca si conclude, cancellando speranze,
un’altra si apre senza promettere, per i più,
niente di buono.
Nell’insieme rimane un film ricco di buoni propositi,
ma senza alcun riscontro. Le uniche immagini coinvolgenti
risultano quelle di repertorio, come le parole di Enrico Berlinguer…
Un peccato, visto che non si presenta come un documentario.
[valentina venturi]