Dopo A
proposito di Schmidt con Jack Nicholson, Alexander Payne torna
con questo tragicomico Sideways ispirandosi
al libro omonimo di Rex Pickett. Il film, già evento negli
Stati Uniti e nel resto d’Europa in questo inizio 2005, può
vantarsi attualmente di cinque candidature agli Oscar, quattro al
Premio Sindacato Attori, compresi i premi della critica statunitense
e il Sag Award per il miglior cast. Credo possa bastare come biglietto
da visita per il quarto lavoro serio del quarantaquattrenne regista
del Nebraska ma di origini greche. Sideways
è prima di tutto un film di contemplazione. I due personaggi
principali (Miles e Jack) attraversano le colline del vino intorno
a Los Angeles, dove il microclima è arrivato a produrre vini
di fattura superlativa, pari a quelli della Toscana. Il paesaggio
è sicuramente coprotagonista, facendo da sfondo a questa storia
originale e mai banale, con i suoi campi di viti a perdita d’occhio,
le campagne verdi e piene di sole e una fotografia che incornicia
angoli di mondo come acquerelli, spesso sconosciuti, di un’America
consumistica e teledipendente. Sembra di essere nel Chianti e sentirsi
vicini a Siena, invece siamo altrove. Il vino è il cordone
ombelicale di tutta la pellicola;è lui che dà i tempi
e li scandisce e rilascia la filosofia di Payne. E’ il sacerdote
custode del passato e del futuro, dalla coltivazione, all’invecchiamento,
dall’imbottigliamento all’ossigenazione e ai sorsi di
voluttà. La trama non è melensa, ne patetica; il film
è una piacevole sorpresa, risultando mai stanco o annebbiato.
Si lascia vedere senza fretta con spunti comici e malinconici ad intreccio
intermittente, dove la trama disegna volteggi o sedute e la caratterizzazione
dei personaggi regge fino in fondo in modo eccellente. Gli eventi
che via via si succedono sono lucidi e desiderosi di attenzione, toccando
molti stati d’animo e trattandoli con somma cura e intelligenza.
Payne adora il road movie e si vede. Usa il viaggio come specchio
dell’anima, come ricognizione sulla psiche sorvolando sconfitte,
crisi e delusioni di mezz’età. Ma c’è anche
il posto, soprattutto, per le piccole gioie, quelle intense che genera
l’amicizia o un amore fugace, un bicchiere di vino o una notte
di sesso passionale. In questo le analogie con Gabriele Salvatores
sono centinaia, compreso il plot da vecchia commedia all’italiana
che ha sedotto i due registi. Il film a tratti è di una poesia
vivace e intensa, come i testi e la sceneggiatura brillanti e realistici
e spesso si ride di gusto. “Vivo alla bottiglia” recita
Mails durante una cena a casa di Stephanie, non nel senso etilico
della frase con alto rischio di cirrosi epatica, ma nel gergo più
sincero. Come a suggerire di non programmare troppo, ad arrivare sulle
cose anche all’ultimo momento, vivendo giorno per giorno, emozione
per emozione, bottiglia dopo bottiglia. Lasciandosi cullare dalle
onde degli accadimenti per il mero gusto della sorpresa, come questa
vita, come a decantarne le caratteristiche organolettiche e sentirne
il profumo solo dopo aver tolto il sughero. Il film cala forse un
poco sui tre quarti di pellicola, dove esce la vena più comico-americana
della storia e la trama cerca verve proprio dove forse ne aveva più
bisogno, in modo forzato e sbrigativo, ma l’opera d’insieme
resta comunque un piccolo capolavoro. Il fatto che in fondo non ci
sia un vero e proprio happy ending e nessuno dei personaggi sia redento
a vita (continuando quindi ad avere pregi e difetti di una settimana
prima) non è poco, se confrontato con le innumerevoli pellicole
di genere in somiglianza, spesso stucchevoli e scontate. Consigliato
agli amanti del vino e della buona e sana commedia, augurandomi che
il film dia il divertimento di una domenica eno-gastronomica all’insegna
del gusto, l’ebbrezza di una bella bottiglia di rosso durante
un pasto abbondante, condivisa con amici e amanti tra risate e malinconia.
E visto che, come dice Omar Pedrini, “è bello fare insieme
le cose vere, ridere, mangiare e rubare il giorno alla città…”
(Fresco, Timoria), appena smetto di scrivere
questa recensione faccio un giro di telefonate e chiamo un po’
di gente, è quasi ora di pranzo e ho da parte un Barbera d’annata.
Vi faccio sapere. Intanto stay tuned. [Alessandro
Antonelli]
Basato sull’omonimo
romanzo di Rex Pickett, Sideways è
un road movie, dalla fotografia calda ed avvolgente del sole della
California e dal gusto fruttato delle vigne che ne ricoprono le colline.
Un viaggio di due amici attraverso la Santa Ynez Valley, la valle
del Chianti californiana, che li porterà a confrontarsi nel
mezzo del cammino della loro vita con i propri sogni, aspirazioni
e fallimenti.
Miles, aspirante romanziere, divorziato, clinicamente depresso ed
appassionato di vino è caratterialmente come un Pinot –
vino complesso, strutturato, molto difficile da produrre (“E’
una vigna dura da coltivare. E’ molto sensibile, delicata. Non
è una vecchia pellaccia come il Cabernet, che può crescere
dappertutto e dà ottime uve anche se trascurata. Il Pinot richiede
cure e attenzioni costanti.”); Jack, attore di secondo piano
e prossimo la matrimonio, preferisce invece il Cabernet, vino più
semplice e di più largo consumo dal gusto ricco e fruttato
(“Ci sono cose che devo fare, che tu non puoi capire. Tu capisci
i vini, la letteratura, i film... ma non capisci il mio destino”).
Un road movie di parola, sostenuto da una ferrea e calibrata sceneggiatura
ricca di sfumature comiche e melanconiche, scritta da Jim Taylor e
Alexander Payne, quest’ultimo anche regista capace di dirigere
con tocco leggero ma deciso sia grandi star come Jack Nicholson nel
suo precedente A Proposito di Schmidt,
che talentuosi caratteristi come Paul Giamatti, capace di rendere
credibile un uomo così complesso e tormentato da un passato
a cui tenta inesorabilmente di rimanere attaccato come Miles e rivelazioni
come Thomas Haden Church, una sorta di Arnold Schwarzenegger ma dal
viso più simpatico, che interpreta con scanzonata e divertita
ironia Jack, uno sbruffone a tratti arrogante e superficiale ma dotato
di una contagiosa ed infantile spinta ottimistica verso il futuro.
Completano il cast la sfiorita ma bellissima Virginia Madsen, e la
sensuale e vitale Sandra Oh, in piccoli ruoli ma funzionali e fondamentali
per la progressione ed evoluzione degli eventi.
[fabio melandri]